Non smettere di piangere

E' arrivata puntuale la telefonata. 
"Hanno inviato il fax in sala operatoria" mi scriveva il mio compagno in un messaggio. "E' tutto pronto, tra poco diventerai zia". Ed io no stavo più nei pantaloni. 
Erano dieci giorni che la pressione faceva l'altalena sul suo corpo stanco e gonfio. Mia sorella stava per affrontare la prova più bella e dura della sua vita. L'esperienza più rivoluzionaria che esista. Dentro di lei, la vita fremeva come farfalle nello stomaco ma, chiusa in una stanza d'ospedale le sembrava che le giornate fossero inscatolate e colorate tutte dello stesso tono. 
"Guarda il piedino come spinge". Il cuore mi batteva fortissimo ogni volta che sotto ai palmi delle mani sentivo quello scricciolo fare capriole. 
Nonostante io lavori in ospedale, e sia abituata alle emozioni degli altri, questa toccava me nel profondo. Mia sorella stava per diventare mamma e se a qualcuno sembra la cosa più normale del mondo, per noi non lo era. Lei e il suo meraviglioso amore avevano rincorso questo sogno per dieci lunghissimi anni. Travolti da un fiume di pericolose emozioni, da lacrime e rassegnazione, non avrebbero mai immaginato che il destino poteva riservare anche per loro un paradiso di miracolosa felicità.
Avevo salutato mia sorella ieri mattina presto. Ero partita prima da casa per poterla vedere e capire quanto stanca fosse di attendere quel parto che si presagiva essere davvero impegnativo. 
Avevo indossato la divisa velocemente ed ero salita. Man mano che salivo le scale passando piano dopo piano immaginavo le persone nei loro letti. Quanto era diverso il lamento dei primi piani  nelle medicine e lungodegenza, nelle geriatrie o nelle chirurgie rispetto a quelli più in alto. 
Al nono piano si respira un'aria diversa. Il pianto dei neonati è melodico e affascinante. E' esplosione vitale, è energia.
Mia sorella era tranquilla. Non l'ho mai sentita lamentarsi. Nemmeno nei nove mesi trascorsi praticamente a letto. Penso che abbia letto più libri lei che una libreria del centro. Ha accolto la pancia che cresceva parlando alla sua bimba come solo una madre sa fare. Accarezzando ogni piccola curva, picchiettando con i polpastrelli per svegliarla o cantandole canzoni. E poi le corse in ospedale in urgenza, con nostra madre che non aveva più lacrime e la paura che ci catturava soffocando i nostri respiri. Come sulle montagne russe, con il cuore a mille che sembrava volesse scoppiarci nel petto. "Tutto bene ma..". Era la risposta. E quel "ma" ci rompeva i sogni e acquattava le nostre speranze. 
Ma e' nata Vittoria. E non avrebbe potuto essere bimba più sana e bella. Il suo papà non smette di piangere e nemmeno io, che devo evitare di aprire le foto  quando sono con i pazienti. Mi vedono due lacrimoni scendere dagli occhi e si preoccupano per me. "Sono zia, tutto bene". Che a me non sembra vero. E chissà se tutte le zie del mondo si sentono come me. Io lo vorrei proprio. 

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