Quei disabili dimenticati
E' davvero incavolata la mamma di Adele, nella casa di fronte. L'insulto fa ormai parte del suo arredo quotidiano, manda a quel paese anche il primo che passa davanti casa sua. E' stata brava e paziente per due mesi, costretta a casa da lavoro perchè la baby sitter aveva contratto il covid e il suo ex marito le dava una mano a settimane alterne. Adele aveva appena imparato a correre sulla sedia a rotelle da sola, spingendo le ruote con le mani piccolissime, che quasi quelle dita ci finivano dentro massacrate. A casa non c'è lo stesso spazio del centro in cui andava tutte le mattine. Ma lei, madre arrabbiata, in quella bolla prossemica ci si è infilata dentro ogni giorno stringendo la sua bambina e riempiendola di baci lo stesso. Sta cercando di vendere delle bambole di pezza, fatte con calze di nylon tirate sopra a calzini appallottolati e pezzi di stoffa, per raccogliere fondi.
Madri che hanno trasformato piccoli spazi di casa in isole, insieme ai loro bambini, come piccoli naufraghi, alla deriva. Tutte continuano a scavarsi un rifugio, tentando di seguire un sentiero nascosto, che faccia loro meno male. Sono accorte nel loro scavare, anche se non vogliono ammetterlo.
Sono i disabili dimenticati dal pragmatismo che scandisce le regole. E allora anche Lucio, con la sua testa sferica come un sole e le gambe negli stivaloni di gomma verde, deve aspettare seduto sullo sgabello ai margini del marciapiede perchè nemmeno oggi passerà il pulmino giallo che lo porterà all'istituto diurno. Guarderà ancora il vuoto, in fondo alla via, cercando il polverone della frenata che conosce a memoria ormai. Ma non ci sarà nessun polverone e nessun pulmino giallo nemmeno oggi e nemmeno la prossima settimana nè quell'altra a quanto pare. Il pulmino giallo non arriverà. Qualcuno glielo spiega a Lucio che può rientrare in casa ?
E' sconcertante come un luogo che ti ha tenuto stretto per anni, alla fine ti lasci andare e basta, senza più alcuna responsabilità.
E' sconcertante come un luogo che ti ha tenuto stretto per anni, alla fine ti lasci andare e basta, senza più alcuna responsabilità.
Poi c'è il principino. Ha gli occhi così azzurri che ci potresti nuotare dentro. Anche se tiene la testa inclinata aspetta che mi avvicini per darmi una carezza. Poi mi fa girare scrutandomi dal basso e portando le mani grandi giunte verso di me. E' il suo modo di dirmi ciao.
Cristian non parla con la voce ma esprime, attraverso il suo linguaggio non verbale, più emozioni di quante ne esistano. A tredici anni guarda attraverso lo schermo quei politici indaffarati, e spera che il capitale umano si anteponga a qualsiasi altro interesse. Quello fatto di cuori, di madri e di bambini e non solo di mani che si muovono.
Non è vero.
Cristian non sa cosa dicono i politici. Ma sa che da sessanta giorni non vede i suoi amici di scuola, le sue insegnanti di sostegno, la lavagna e la piccola palestrina della ginnastica, i quadernoni e i colori a tempera della sala d'arte. Quelle voci alla tv lo fanno sentire come se un cucchiaio gli stesse rimescolando gli organi. E' agitato oggi il piccolo Cris.
I suoi gesti sono a volte imbizzariti, la testa sempre più inclinata come se cercasse di traverso la risposta che non trova. La libertà non era quella luce meravigliosa là fuori mamma?
Diteglielo che non rivedrà più la sua classe. Qualcuno glielo spieghi a questi poveri angeli sostenuti solo dall'immenso amore delle loro madri che il mondo non sarà mai più lo stesso.
E se qualcuno potrebbe dire che il loro mondo non era il nostro nemmeno prima, dovrebbe prima imparare a decifrare i gesti di quelle madri, i loro abbracci travolgenti che formano una corrente intensa e circolare, e la loro inarrestabile sofferenza. O pensare all'immagine di una madre ai fornelli, che prepara la merenda ai suoi figli, restando con loro abbastanza tempo per guardarli mangiare reggendo una forchetta, saltellare felici e dire ciao.
Allora forse le cose cambierebbero.
Allora forse le cose cambierebbero.