Non solo scatole
Quelle che vedete non sono delle semplici scatole.
Contengono presidi salvavita.
Se a qualcuno un pezzo di nylon e una placca gommosa potessero sembrare inutili quisquilie o gingilli da quattro soldi vi assicuro che non è così.
Ci sono intere equipe ingegneristiche e chimiche che studiano spessori, formulano i componenti degli adesivi, decidono gli eccipienti e i medicamenti affinchè diventino strumenti curativi e non meramente adesivi aggressivi appiccicati alla cute per resistere alle acidità più corrosive. Vi sono sperimentazioni come nei farmaci e, a tutti gli effetti, sono presidi che rientrano nella prescrizione medica.
I pazienti stomizzati, coloro che hanno una derivazione urinaria o fecale in addome, armeggiano questi ordigni ingegnosi, li utilizzano tutti i giorni.
Le sacche sono piccoli oggetti preziosi che curano anche l'anima, soprattutto quando rispettano l'immagine corporea, coprendo la visibilità del contenuto con telini morbidi e confortevoli.
Proteggono la cute dalle infiltrazioni di questi effluenti che già la mente di una persona non stomizzata elimina e accantona nei luoghi più discreti del nostro io, laggiù in fondo, coperti da paia di slip ed eliminati da uno sciacquone come un colpo di spazzola; figuratevi quando ce li avete sott'occhio e sotto il naso tutti i giorni.
Provate ad immaginare di non poterne più disporne. E di trovarvi imbrattati, sporchi, maleodoranti, irritati, costretti ad inventarvi una protezione, magari con una pellicola di cellophan o ritagli di pannolini, bende di stoffa, borsette di nylon legate da spaghi e scotch. Se vi va bene.
Così, in questi giorni in cui mancano i respiratori o le mascherine, i miei pazienti più anziani si sono allarmati terribilmente, ricordando a noi giovani sani, uomini della modernità ipertecnologica, che non siamo propriamente onnipotenti. Il virus ci ha richiamato a questa consapevolezza.
Il non poter più disporre del sacchetto per stomia si è presentato come una catastrofe. I pazienti telefonano per accertarsi che ciò non sia vero. Condensano in poche frasi le loro paure e in quella "certa età" che sappiamo definire con un eufemismo essere l'età delle malattia, del declino e dell'incertezza. E proprio in quelli di una "certa età" improvvisamente afoni, privati senza preavviso dei loro cari, delle loro certezze, delle loro inebrianti necessità vivere è diventato un un incubo.
Sono andata personalmente a rassicurarli. Conosco le intime inquietudini di qualcuno. Le faccio mie, le tengo nel mio cuore e in modi obliqui a volte, cerco di modificare le loro vite, rendendole agili. E' bastato che loro aprissero le porte delle loro case di mattoni e vedermi da lontano, laggiù in fondo sul cancelletto, a debita distanza, per sentirsi meno angosciati, più tranquilli.
A volte è solo un reciproco rispecchiarsi.