Non ci sono infermieri di serie A o B

Non ci sono infermieri di serie A o di serie B ma è successa una cosa incredibile. 
La stagione della distanza e del dolore sociale, la stagione della reclusione e della sospensione ha fatto crescere l'autostima in chi l'aveva ormai perduta con un invito irresistibile all'esperienza più radicale, rivoluzionaria e rischiosa che esista: quella di assistere i malati.
Un'autostima non esagerata, ma imponente e potente allo stesso tempo. 
Come a quell'infermiere che, declassato,  lavorava solo per il ventisette del mese, svalutato nella sua professionalità e costretto ad interpretare un ruolo che non avrebbe mai voluto, in un servizio amministrativo. Lo aveva deciso la sua direzione, non poteva rifiutarsi. O come a quell'infermiera frettolosa, nei modi e nei gesti, che quasi ci pareva scorbutica, perchè non vedeva l'ora di correre a casa dai suoi figli o dai genitori anziani soli. Si, proprio quella col caschetto incanutito, metà biondo e metà grigio, con il viso perennemente ricoperto da occhiali troppo grandi. L'unica con il master in counseling. Ma anche al mio amico in un reparto laggiù, così impaziente di finire il turno per dedicarsi alle sue di passioni, come la corsa, il bricolage, la pittura, le collezioni e chi più ne ha più ne metta; e non certo appassionato ad iniettare flebo medicando arti o piaghe da decubito, tanta era la demotivazione acquisita nonostante i tre master nel cassetto e i tanti corsi di specializzazione che abbiamo fatto insieme. Potrei aggiungervi altri colleghi, che corrono sempre, producono, instancabilmente "fanno", ma che non hanno tempo per dedicare attenzioni e parole ai loro pazienti perchè in numero insufficiente per gestire un reparto. O come gli assenti, i "non ancora assunti", i "le faremo sapere", quelli a "tempo determinato perchè...meglio se torna nel suo paese, o quelli che si sono prestati al servizio privato insieme agli intrappolati in cooperative ai minimi termini, che stiamo perdendo per strada.
Era facile dire che c'erano infermieri di serie B per chi non conosceva il motivo di quella etichetta che come un'onda schiaffeggiava chi la indossava. Senza equilibrio non c'era più un ruolo.
Ah ma cambierà anche la nostra storia d'ora in poi, eccome se cambierà.
Siamo gli eroi mascherati e blindati in reparti in cui si salvano vite adesso.
E grazie a chi effettivamente ci lavora in quei reparti, siamo stati rivalutati proprio tutti. Perchè diciamo la verità, mentre l'autostima diventava contagiosa, e qualcuno ci ribatezzava come dei santi, siamo anche un po' cambiati. Bisogna ammetterlo. Abbiamo cambiato etichetta, lettera alfabetica, siamo avanzati alla "A".
Però è proprio vero. Anche il mio amico ha rallentato il passo. Ora mostra fiero il cartellino sulla divisa con su scritto "infermiere" camminando a testa alta, come uno sperimentatore ad occhi aperti. Mi ha detto che dedica molto più tempo a quel paziente del letto numero due che aveva solo bisogno di raccontargli la sua paura. Il tempo non si dilata più annoiato. Si arricchisce di pensieri buoni che si affastellano gli uni sugli altri. E i figli della mia amica sono fieri di avere una mamma che se ritarda da lavoro, è perchè sta salvando delle vite. Lei, sempre con uno sguardo in bilico tra pessimismo e speranza adesso.
I master li stiamo rispolverando tutti; stanno tornando utili le conoscenze dimenticate nel cassetto. Perfino il mio amico infermiere, smilzo, con il suo esagerato cespuglio di capelli e il solito camice spiegazzato sul sedere, trova soddisfazione a sistemare le cartelle cliniche nell'archivio adesso, che senza di lui ci sarebbe un gran casino. E' l'unico mago a saperle dividere per patologia.
Ma a noi sarebbe bastato molto meno di un coronavirus per dimostrare la nostra potenza in serie A. 
Il giusto valore al  nostro titolo, per iniziare, non dico tanto.




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