In casa di molti

Oggi c'è una gran frenesia.
La musica è più alta dei nostri schiamazzi ma qui, nel palazzo, nessuno si lamenta. Sono tutti comprensivi.
La capacità di reazione agli eventi dell'essere umano è davvero formidabile. Nemmeno io me ne capacito. Neanche quando vedo mia figlia Sara, col mocio in mano, che a tre anni mi dice "qui mamma pulisso?".
Oscar, con le sue ciglia a ciuffetti in una umida raggiera è sprofondato nel divano da ore, ascolta la musica trap nelle orecchie gesticolando con le braccia che si fanno spazio nell'aria come un dj, mentre Franci si cinge la vita con le mani e accenna a movimenti del lula op, quasi sentisse la sua musica tecno. Ha una strana macchia blu elettrico su una ciocca di capelli, segno degli esperimenti dei giorni scorsi. Hanno solo due anni di differenza ma sembrano così gemelli. Infine c'è Mattia, il quarto, attaccato all'ossigeno in camera da letto. E' nato con la fibrosi cistica sedici anni fa, intrappolato per sempre in un mortificante stato di mezzo tra l'essere uomo e l'essere bambino. Mio marito lavora. Fa l'operaio in una metalmeccanica nota. Loro non hanno chiuso. Grazie a Dio che non hanno chiuso. Senza lo stipendio di mio marito moriremmo tutti.
Viviamo in sei in circa sessanta metri quadri. Non abbiamo un terrazzino per poter cantare Azzurro alle sei del pomeriggio sventolando la bandiera italiana ma lo facciamo lo stesso, ognuno da una finestra. Non abbiamo una casa a due piani per poterci allenare. Nemmeno un duplex. 
Io e mio marito, a turno, portiamo fuori la spazzatura la sera. Un sacchetto alla volta per quattro piani di scale, cosi' da poter sgranchirci le gambe. Ai tempi del Coronavirus è così. Ci dobbiamo adattare. 
La mattina, a colazione, in casa nostra si sente solo la televisione. E' sintonizzata sul telegiornale e abbiamo abituato i nostri figli a guardarla. Poi Lucio la spegne e, prima di andare a lavoro, chiede ai ragazzi cosa pensano. "Bello papu", dice ignara Saretta dal basso della sua statura. "Chissene" accenna Oscar. "Mi fa pensare" aggiunge Franci giudiziosa. Mentre io e Lucio parliamo del dramma della distanza di sicurezza da mantenere, anti contagio, è la frase di Matti che ci lascia sconvolti. "Io ci sono abituato a stare ad un metro di distanza da tutti e da tutto e per me varrà per tutta la vita, se ce l'avrò una vita". Allora mi sono chinata e gli ho dato un bacio, un paio di baci, una montagna di baci, disseminandoli qua e là in un modo un po' da genitore e un po' no. Non ho saputo resistere.


In generale esiste la raccomandazione che le persone con fibrosi cistica evitino, per quanto possibile, contatti ravvicinati e protratti tra di loro. In questa malattia infatti batteri che possono causare infezioni polmonari attecchiscono con facilità. In un organismo «sano» questi batteri vengono subito rimossi dalle vie aeree con il meccanismo della pulizia del battito delle ciglia bronchiali che sposta i batteri verso l’esterno. In chi è malato di fibrosi cistica questo meccanismo è compromesso e i batteri inalati stazionano nel muco bronchiale rischiando di provocare infezioni e infiammazioni dell’apparato respiratorio. 

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