E' morto
Ho scattato la foto dalla finestra dell'ambulatorio.
Tra un paziente e l'altro arieggiavo la stanza, in modo quasi maniacale. Quello che vedete è l'obitorio, visto da dietro.
In pausa pranzo non ho resistito e sono andata là vicino.
I fossori, o necrofori, o per dirlo con il termine che tutti conoscono becchini, erano in piedi accanto ad una delle uscite, anch'essi refrigerati da una temperatura poco primaverile. Dal loro vestito nero spiccava bianca la maschera filtrante. Indossavano i guanti neri, in lattice, quasi in segno di composta e ossequiosa presenza, come sono soliti stare, ma stavolta in modo diverso. Sembrava che il caos di pianti e lacrime, di abbracci e strette, di promesse e ferite, che siamo soliti incontrare in queste circostanze, trovasse stranamente un ordine. Non c'erano.
Per quanto precario e illogico possa essere l'ultimo saluto in questa maniera era ora più che mai logico e decisivo.
In centro alla camera mortuaria c'era solo lui, il defunto, solo, già rinchiuso nella bara sigillata. Accanto, un unico familiare, coperto di maschera, indossava i guanti pulendosi le lacrime con il fazzoletto di carta. Sarebbe vietato anche piangere. Lasciarsi andare. Soffrire. Non condividere un peso che ti si staglia dentro come cemento armato. Il dolore te lo devi impacchettare dentro. Posticiparlo, se è possibile. Mai come prima d'ora si scopre l’insostituibilità dei rapporti umani, diretti
e personali, in cui impariamo anche noi chi siamo.
Il defunto, uomo, è deceduto per il virus. "El corona" mi diceva sottovoce un altro parente della vittima, fuori sul cortile, più ampio, dove l'aria sembrava essere meno pesante. La salma non era stata sottoposta a svestizione nè a vestizione. Nessuno poteva toccarla. Nessuno aveva potuto sorreggere quello sguardo angosciante che si attacca agli occhi prima della morte, quando il respiro manca, quando la mano appoggiata sulla sua manca, tutto manca. La cassa era chiusa, già dall'uscita dall'ospedale. Il necroforo, ma non era l'unico, si avvicinava alla bara senza appoggiarvisi. Chissà cosa avrà pensato. Sicuramente in quei pochi centimetri quadrati di respiro sotto la sua maschera si profilava la possibilità di impalmare il simbolo più prezioso del potere in
circolazione. La vita.
Ne ero certa.