TI VEDO . Storia di una madre.
Ti vedo.
Ti vedo soffrire anche se fuggi. Se ti chiudi in casa o in te stessa. Anche se scappi.
E seguo questa scia di dolore, che sembra non finire mai. Abbarbicata su una montagna impervia, senza scalini nè appigli, ti vedo oscillare nel vuoto, come se stessi per cadere, sorretta solo da un picchetto piantato nella dolomia.
I singhiozzi mi lievitano nel petto fino a traboccare. Mi sfilo il maglione di lana mentre i pelucchi fluttuano nell'aria. Si attaccano dovunque. Anche la mia pedata è troppo fiacca per calciare i pantaloni sfilati al contrario.
Non vorrei che tu pesassi i grammi della mia sofferenza, quelli no, li sopporto io. Ma vorrei che ogni tanto ti chiedessi come sto. Sei approdata nella mia vita per farmi felice, tanti anni fa. Ricordi? E' così che ti cerco nell'ultima foto dell'album. Paccioccona e ridente. Con quelle mollettine in testa a forma di fragola che adoravi. Rivedo le tue ginocchia sporgenti, piene di sbucciature. Le gambe rigate di graffi. Erano loro a scatenare l'esigenza di abbracciarti forte. Come quando ti spalmavo quintali di crema profumata, durante ogni ricovero, riempiendoti di baci sul collo.
Anche il gatto mi infastidisce oggi. Tenta di infilarsi sotto al braccio, in cerca di coccole e starnutendomi addosso. "Che accidenti vuoi oggi?. Fai la nanna qui" gli dico come se fosse un bambino inquieto. Lo è quanto me.
Alla finestra, le tegole sparse di muffa della casa di fronte mi ricordano sempre l'inverno. Mi ricordano che i rami macilenti non cadono, solo le foglie coprono il terreno tenendolo al caldo. Mi ricordano la tristezza che puntualmente mi pervade in ogni inverno. Non potrei vivere al polo, no.
Madida di sudore freddo raccolgo il cellulare caduto e per l'ennesima volta controllo il tuo profilo. Non mi sblocchi. Non mi parli. Non ti parlo.
Su facebook una foto triste pubblicata alle quattro di notte mi rammenta la tua sofferenza. Forte quella frase di Seneca "Sarà... quel che dev'essere".
Ma io non mollerò.
Anche se tra i miei capelli germoglieranno grumi di ciuffi bianchi come bubboni, come se combattessi in testa ad un esercito, non ti perderò di vista. A modo mio tirerò fuori gli artigli. E ti farò capire che sbagli. Che l'herpes sul labbro non si cura col cerotto. Lo puoi solo nascondere.
Che l'affetto cura più delle medicine.
Che la famiglia è il tuo porto sicuro. E non quello schifo di mondo in cui credi di vivere.
Ti vedo.Correre, camminare e fare la spesa. Ti vedo fingere. Soffrire e piangere. Ti vedo.