Loro, uniti in questo mondo di diversi
La gonna arrivava fino alle caviglie. Lasciava intravvedere, nella ciabatta blu col pelo di lana merinos, un calzino marrone e uno verde scuro, o forse era solo sbiadito. In testa teneva un foulard rosa che faceva il giro del collo. Accanto a lei, un uomo alto, con un giubbotto di finta pelle tinta cacao le appoggiava un braccio sulle spalle. Aveva la barba curata. C'erano altri "di loro" nella stanza che si era fatta stretta come una scatola e con l'aria pesante.
Due bambini occupavano la poltrona, uno seduto sull'altro, fermi immobili all'ordine di quello che credo fosse il padre, o lo zio o magari il fratello maggiore. Erano in nove i familiari e non riuscivo certo a distinguere il legame di parentela.
Da ogni angolatura l'immagine che ne risaltava era quella di una famiglia molto unita, preoccupata per la cara ammalata, un brutto male dicevano. C'era chi, china sul letto, sistemava le coperte. Chi il borsone con la poca biancheria, chi i giornali stropicciati sul comodino. Quasi fossero azioni già vissute, o ripetute, magari nelle loro roulottes. E c'era chi, attento osservatore, stava fermo immobile, più indietro, con le mani in mano o le braccia conserte, lasciando spazio agli altri, per non essere invadente, in assoluto rispetto.
Se all'inizio quella stanza mi aumentava la claustrofobia, dopo qualche istante ho provato ad osservare ognuno in maniera diversa. Tra quelle quattro mura la solidarietà non era un concetto astratto ma palpabile e soprattutto visibile. Sembrava che la loro comunità fosse una comunione di affetti. Non a caso Bell Hooks sostiene che "la scelta di vivere con semplicità accresce inevitabilmente la nostra capacità di amare".
Per loro non è una questione di rispetto presentarsi uno alla volta in ospedale. Lo è esserci tutti insieme, anche bloccando il corridoio fuori delle porte della rianimazione o l'ingresso della corsia del reparto. Lo è riempiendo le stanze intorno al letto della propria cara o aspettando la prognosi per sette o otto ore nella sala d'attesa di una sala operatoria. Tutti, con tutti i figli, il parentado e gli altri del clan. Si dimostrano uniti più nel male che nel bene, si sostengono a vicenda come se il male del vicino appartenesse a ciascuno di essi. Puoi trovare lo zio e il pro zio, l'amico dello zio o la sorella dell'amica della cognata eccetera eccetera all'infinito. Ti chiedi come sia possibile un tale preventivo accordo quando noi facciamo fatica a non litigare con i nostri fratelli.
La signora allettata appariva poi visibilmente stanca e non è stato necessario invitarli ad uscire. Lo hanno capito insieme, con educazione hanno salutato e se ne sono andati tutti, portando via la loro scia speziata, i borsoni di cuoio e facendo roteare le gonne gitane. Cultura anche questa.
Lo diceva Alda Merini che “Ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini", ma se ti fermassi a guardare la scena che ti ho descritto, ti accorgeresti che la tolleranza ti aiuterebbe a sconfiggere ogni pregiudizio.