L'INFERMIERA CON LA CODA A PENNACCHIO
Deglutivo saliva come se fossero stati bocconi di cemento.
La mano almeno poteva tenermela l'infermiera mentre urlavo per la puntura dell'anestetico locale. Così mia madre fu costretta ad entrare, e a scoprire che sulla pancia mi ero tatuata un altro tribale.
Prima di mitragliarmi con una raffica di parole, avvicinò il suo naso al mio e poi le labbra alla mia fronte e mi baciò. Mi teneva la mano, ingombrando lo spazio all'infermiera. Intrecciai le mie mani con le sue.
Il medico era molto gentile e mi colpì la sua calma assoluta; o forse era la voce; forse le guance molli, un po' cadenti, che gli rendevano la faccia buffa, o quel ciuffetto sulla fronte, arrotolato come una molla.
Di lui mi sono fidata subito.
L'infermiera preparava il tavolino con i ferri chirurgici ed io sbirciavo ogni movimento.
I capelli troppo lunghi, le cadevano sulla spalle e si accorse subito che avrebbe dovuto raccoglierli. Trovò un elastico "ferma moduli" e lo arrotolò tre volte sulla coda, sollevandola talmente sulla nuca da farla sembrare un pennacchio al vento. Così, appariva forse più giovane ma ancora meno simpatica. Non che io volessi Candy Candy, ma una diversa da quella si.
Quando mi coprì il viso con il telo verde mi sembrava di soffocare. Mamma fece passare un po' d'aria e lei si infastidì perchè si trattava di un telino sterile e avrebbe dovuto sostituirlo. Era visibilmente agitata perchè il chirurgo le faceva strani gesti di disappunto per la sua lentezza. Forse gli occhiali troppo grandi sulla punta del naso le impedivano una visione a centottanta gradi. O forse aveva incontrato le sue occhiaie nel grande specchio dell'ambulatorio e la rabbia appassiva in sconforto quel giorno.
Quando mi disinfettò, non mise i guanti ed io pensavo a cosa avessero fatto quelle mani prima di finire sulla mia pelle. Magari si era truccata o pettinata, forse aveva bevuto il caffè o abbassato i pantaloni per fare la pipì. E quelle mani adesso accarezzavano il mio addome. Si fermavano sulle anche e fino all'ombelico, dove il tatuaggio si mostrava pieno e fresco di colore. Non le volevo quelle carezze nossignore.
Mamma si stancava di stare immobile in piedi e decise di sedersi. L'infermiera andava avanti e indietro passando la pinza e il bisturi, sistemando la luce dietro al medico, intervallando qualche battuta sulla mia età e i millenials, sui duemila, i duemilatre e duemilaquattro.
Il medico mi strizzava l'occhiolino ogni tanto e a me bastava per essere felice.
Poi per qualche motivo che non ricordo, la ranocchia vestita di verde mi guardava dall'alto, ed io ero stesa a terra, con le gambe sollevate sul ventre di mia madre. Il medico piantava il fonendoscopio gelido sulla mia pancia e l'infermiera accarezzava la mia guancia, chiamandomi per nome.
"Sei bellissima", mi disse.
"Anche tu", le risposi.
Mi resi conto che ero svenuta nello stesso istante in cui mi ero alzata dal lettino e lei era lì ad assistermi, a misurare la pressione, a guardarmi dritta negli occhi e dentro al cuore, alle mie paure.
Quando l'ago bucò la mia vena mi girai dall'altra parte, allargai le narici, quasi l'aria non bastasse e aprii la bocca per prendere fiato. Ero viva. La sentivo sfrigolare nei polpacci quella euforia e mi dovevo ricredere.