IL PAZIENTE COL PIGIAMA A FIORI
Il signore col camice di cerata dallo spacco vertiginoso sul di dietro, non lasciava all'immaginazione il suo fondoschiena. Io mi stringevo nel mio pigiama a fiori e speravo di non dover fare la fine di quel povero cristo in balia della badante infermiera. Lo accompagnava dentro all'ambulatorio, per farsi infilare un tubo nel sedere apparentemente glabro, prima di me.
La colonscopia, o meglio l'endoscopio, congegno affascinante e complicato, mi ha sempre terrorizzato e ancor più a terrorizzarmi è l'attesa dell'esame, disgustosa e deperibile. Vestirsi da alienati della neuro metterebbe a disagio chiunque.
L'assistente vestita di verde mi sorride di sbieco e, mentre gli occhiali le scendono un po' verso destra, mi fa cenno di seguirla. Mi sembro un pugnace condottiero.
Petulante, do inizio al mio lamento prosaico mentale. Prima che il medico mi spolpi a dovere, chiedo di essere addormentato e nel frattempo dò sfogo alle mie lunghe elucubrazioni. Mi accorgo di essere pesante e mi scuso.
"Mi perdoni dottore, ma naturalezza e candore sono impossibili nel mondo dei sani figuriamoci nei malati come me".
Mi stendo di lato sul lettino, vestito solo di una vestaglia a rovescio, aperta sulla schiena. Sempre meglio di una cerata da psichiatrico, ma poco si discosta.
La pazienza infinita del medico mi ringrazia per essermi consegnato alle sue mani di mia sponte (non lui). Deve avere un ragguardevole talento di incassatore . E poi con quella cuffietta verde da doccia e una mascherina che soffoca il respiro mi fa una certa pena. Decido quindi di infilare deliberatamente i panni del paziente, rinunciare anche se a tempo determinato ai miei diritti di uomo libero e pensante e a mettermi nelle sue mani guantate che già reggono il tubo.
L'esame dura quindici minuti.
In confusione mentale sento solo la sua voce che echeggia in lontananza e un agitar di braccia delle infermiere che mi tengono fisso al lettino.
"Questo è quello col pigiama a fiori?"
Un tornado di peti scivola fuori dal mio ano perforato e con loro, una scia di dolore che svanisce all'istante.
Finalmente l'esame è finito.
La colonscopia, o meglio l'endoscopio, congegno affascinante e complicato, mi ha sempre terrorizzato e ancor più a terrorizzarmi è l'attesa dell'esame, disgustosa e deperibile. Vestirsi da alienati della neuro metterebbe a disagio chiunque.
L'assistente vestita di verde mi sorride di sbieco e, mentre gli occhiali le scendono un po' verso destra, mi fa cenno di seguirla. Mi sembro un pugnace condottiero.
Petulante, do inizio al mio lamento prosaico mentale. Prima che il medico mi spolpi a dovere, chiedo di essere addormentato e nel frattempo dò sfogo alle mie lunghe elucubrazioni. Mi accorgo di essere pesante e mi scuso.
"Mi perdoni dottore, ma naturalezza e candore sono impossibili nel mondo dei sani figuriamoci nei malati come me".
Mi stendo di lato sul lettino, vestito solo di una vestaglia a rovescio, aperta sulla schiena. Sempre meglio di una cerata da psichiatrico, ma poco si discosta.
La pazienza infinita del medico mi ringrazia per essermi consegnato alle sue mani di mia sponte (non lui). Deve avere un ragguardevole talento di incassatore . E poi con quella cuffietta verde da doccia e una mascherina che soffoca il respiro mi fa una certa pena. Decido quindi di infilare deliberatamente i panni del paziente, rinunciare anche se a tempo determinato ai miei diritti di uomo libero e pensante e a mettermi nelle sue mani guantate che già reggono il tubo.
L'esame dura quindici minuti.
In confusione mentale sento solo la sua voce che echeggia in lontananza e un agitar di braccia delle infermiere che mi tengono fisso al lettino.
"Questo è quello col pigiama a fiori?"
Un tornado di peti scivola fuori dal mio ano perforato e con loro, una scia di dolore che svanisce all'istante.
Finalmente l'esame è finito.