ANCH'IO HO IL CANCRO

Lei mi guardava di sottecchi, strisciando le mani sulla gonna, come per lisciarla.
Aveva capito che io avevo avuto la meglio. La chemio l'avrebbero fatta solo a me. I suoi globuli rossi se ne erano andati in vacanza, piastrine e globuli bianchi compresi.
Avrebbe dovuto aspettare una quindicina di giorni e poi sarebbe tornata qui, io al sesto giro di chemio, lei al terzo.
Quando si viene in questo posto, e si pesca il numeretto di carta dalla lumaca rossa sputanumeri, c'è sempre tanta gente accalcata ovunque. Stanno sulle poltrone, nell'atrio, seduti sulle barelle che dovrebbero servire a chi si sente male. Già, perchè qui sentirsi male è all'ordine del giorno. Puoi avere uno shock anafilattico col cisplatino o una febbre a quarantuno lineette, una vampata bruciante o quella sudorazione fredda che ti stende. Qui ci si guarda. Ci si osserva. Chissà se il mio cancro è peggio del tuo. Chissà se io vivrò e tu no. Se il mio è di quella forma scarsamente differenziata o meno. Se il tuo ti mutila amputando la tua femminilità oppure no.
Io so che se siamo qui tu ed io, abbiamo scoperto il mostro tempo fa, lui ha piantato i tentacoli,  pronto a cibarsi di noi, di chissà quale organo. Magari del tuo fegato o dei miei polmoni, del tuo seno o del mio colon.  Te lo dico cara mia, che sono qui seduta con la testa appesa al soffitto, che finchè potrò non la appoggerò al cuscino. Nossignore. Te lo dico con una rabbia mai provata e l'egoismo che mi contraddistingue in questo momento. Sì è un'indole violenta la mia, in una spirale dolorosa. Il mio pensiero è sovversivo e pericoloso come quello di Emma Goldman, quando lottava contro la legge che vietava l'aborto. Ma io ora voglio essere l'assassina. Disintegrare quelle cellule ammassate e disordinate. Bloccarle in una colata di cemento armato. Io voglio vivere cara mia, non m'importa di te. Non m'importa un accidenti se siamo in tanti ad essere malati. Perchè tanti sono quelli sani là fuori.
Qui ci passiamo tutti la mano tra i capelli, quei pochi rimasti, ci lisciamo lo stomaco, per i crampi che ci piegano, succhiamo una caramella alla menta, per ricordare alle nostre papille di funzionare. Qui abbiamo gli occhi affossati con le occhiaie annerite, tu più delle mie.
Guarda, tu sudi, io no. Sei bianca.
Tu hai paura, io no.
Tu sogni. Sogni?
Sai... sogno anch'io.
Tutto sogniamo qui. 
Potremmo definirla la fabbrica dei sogni questa sala d'attesa. Quando stai con un piede nella bara, pensi a quello che vorresti ancora vedere con quegli occhi che la malattia ti obbliga a chiudere. Viaggi in quella meta vista solo nei giornali. Compri quella borsa che non ti sei mai potuta permettere. Ti regali il tempo, il relax, il massaggio drenante, un nuovo collier. Ti incazzi col mondo e spegni il cellulare davanti alla fashion blogger sfigata che ti strizza l'occhiolino. 
Ma tieni la mano nella mano, stretta in chi ti ama. In chi ti capisce. Resetti il tuo odio.
La mia, stretta nella tua.
E mentre ti abbraccio, spero di vederti anche tra due settimane. Che lottare con te mi dà una forza incredibile.

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