IN SALA OPERATORIA
Ti sembrerà anche una paccottiglia di ferri sdraiati su un telo verde menta quella che hai davanti, ma il clangore di una pinza anatomica contro le forbici, di un pean che si aggancia o di uno specillo nella reniforme sono musica in questa sala quasi insonorizzata. Adoro il mio lavoro.
Preparo le venti garze una sull'altra, il bisturi a lama smussa e le tre forbici appuntite con la precisione di un orafo nel suo micro laboratorio. Incubo straziante la conta che non torna.
Il filo raggomitolato sotto alla siringa di anestetico attende una cucitura di millimetrica precisione.
Sono anni che preparo sistematicamente questo tavolo servitore. Lo sposto con delicatezza, lo avvicino con cura, allineo i ferri, sistemo i divaricatori, scaldo la fisiologica, respiro, mi concentro, sto attento.
Se la sequenza di azioni ripetitive può sembrare monotona e per nulla stimolante, vi assicuro che non è così. Il lavoro dello strumentista lo scegli. Nessuno ti obbliga a farlo.
L'attesa della lama di un bisturi che seziona l'addome ad opera delle mani guantate del chirurgo dà inizio ai passaggi obbligati dell'intervento. Allora tu sei là, come il primo giorno, per ogni santo intervento, con l'adrenalina che sale. Attento alle minuziose mosse e respirando il tuo stesso fiato dietro la mascherina, ti chiedi come possano alcuni medici mantenere un tale self control. Tutto tace.
Solo il bip bip del monitor ancheggia rumoroso nelle sinuose curve che un infermiere controlla senza distrarsi, sul monitor.
Un senso di responsabilità ti pervade per ogni minuto del tuo turno e i tuoi occhi si muovono rapidi a destra e a sinistra. Mancano dei ferri. C'è chi è pronto a leggere il tuo sguardo. In sala operatoria capire il linguaggio non verbale è fondamentale.
Ecco che quegli occhi appaiono talvolta ridenti, altre volte rabbiosi, piangenti o preoccupati. Ansiosi, timidi, paurosi. I tuoi, quelli del medico che opera e del tuo collega che collabora.
Altre volte vorresti dialogare, rilassare il collo, flettere un ginocchio, ma ti senti murato.
Come oggi. Silenzio. "Passami una Kelly, no Klemmer, no Joanne". "Ecco dottore!".
E nell'intercedere delle ore, il paziente giace inconsapevole della nostra ottemperanza e meticolosità. Lui dorme e si risveglierà probabilmente in reparto, dove infermiere preparate lo sosterranno e aiuteranno. Ma con quella sequenziale e metodica preparazione di un ammasso di ferri sterilizzati, un lavoro d'equipe e un'intesa fatta di sguardi, emozioni e rispetto, gli abbiamo salvato la vita. Chissà se si ricorderà di noi.
Preparo le venti garze una sull'altra, il bisturi a lama smussa e le tre forbici appuntite con la precisione di un orafo nel suo micro laboratorio. Incubo straziante la conta che non torna.
Il filo raggomitolato sotto alla siringa di anestetico attende una cucitura di millimetrica precisione.
Sono anni che preparo sistematicamente questo tavolo servitore. Lo sposto con delicatezza, lo avvicino con cura, allineo i ferri, sistemo i divaricatori, scaldo la fisiologica, respiro, mi concentro, sto attento.
Se la sequenza di azioni ripetitive può sembrare monotona e per nulla stimolante, vi assicuro che non è così. Il lavoro dello strumentista lo scegli. Nessuno ti obbliga a farlo.
L'attesa della lama di un bisturi che seziona l'addome ad opera delle mani guantate del chirurgo dà inizio ai passaggi obbligati dell'intervento. Allora tu sei là, come il primo giorno, per ogni santo intervento, con l'adrenalina che sale. Attento alle minuziose mosse e respirando il tuo stesso fiato dietro la mascherina, ti chiedi come possano alcuni medici mantenere un tale self control. Tutto tace.
Solo il bip bip del monitor ancheggia rumoroso nelle sinuose curve che un infermiere controlla senza distrarsi, sul monitor.
Un senso di responsabilità ti pervade per ogni minuto del tuo turno e i tuoi occhi si muovono rapidi a destra e a sinistra. Mancano dei ferri. C'è chi è pronto a leggere il tuo sguardo. In sala operatoria capire il linguaggio non verbale è fondamentale.
Ecco che quegli occhi appaiono talvolta ridenti, altre volte rabbiosi, piangenti o preoccupati. Ansiosi, timidi, paurosi. I tuoi, quelli del medico che opera e del tuo collega che collabora.
Altre volte vorresti dialogare, rilassare il collo, flettere un ginocchio, ma ti senti murato.
Come oggi. Silenzio. "Passami una Kelly, no Klemmer, no Joanne". "Ecco dottore!".
E nell'intercedere delle ore, il paziente giace inconsapevole della nostra ottemperanza e meticolosità. Lui dorme e si risveglierà probabilmente in reparto, dove infermiere preparate lo sosterranno e aiuteranno. Ma con quella sequenziale e metodica preparazione di un ammasso di ferri sterilizzati, un lavoro d'equipe e un'intesa fatta di sguardi, emozioni e rispetto, gli abbiamo salvato la vita. Chissà se si ricorderà di noi.