QUANDO PAROLE E MUSICA SONO TERAPEUTICHE: ENRICO, INFERMIERE CANTAUTORE
Lo sanno in tanti che la musica è terapeutica ma per Enrico l'attrazione ha avuto a che fare con la potenza che le parole nei suoni possono amplificare i messaggi che giungono dal cuore.
Con la sua arte di cantautore ha trasformato il dolore in bellezza pura, la sofferenza in ascolto, l'amore in un caleidoscopio di emozioni, tutto questo poi, in musica, canzoni, sentimento.
E i bisogni dei suoi pazienti, incontrati in corsia durante il tirocinio del corso di laurea in infermieristica, lui li conosce bene. Sono quelli di tutti gli esseri umani che soffrono. Sono bisogni palpabili, riconoscibili.
Quello che si avverte dalle sue canzoni, e in modo dirompente, è la forza di questo giovane genio creativo, che insieme alla sua band esprime una gran voglia di vivere appieno tutto ciò che la vita offre. Il bello e il brutto, si anche il brutto, che non va velato ma scoperto.
Enrico fa emergere ogni fragilità di un mondo cambiato a noi adulti; fa pensare che esista anche una "solitudine bella" dove si possa venire a contatto con le emozioni profonde.
Se lo vedi prendere il microfono con la delicatezza di chi gira una pagina di velluto bordeaux, mentre i dread gli danzano sulle spalle trattenuti solo da una fascetta colorata, non puoi non innamorarti della sua dolcezza. Qualche rotolino di capelli è sospeso nel volto morbido, dalla pelle di uomo e lo sguardo bambino. "Si vede la vita da qui" , dice nella prima canzone. "Se non conosci le stelle...fatti guardare da me". E' questo l'amore che le donne hanno sempre in testa. E' questa la libertà di essere se stessi. Sono queste le parole di Enrico che fanno sentire la donna regina.
Nasce. Nasce un po' per caso una canzone. Nasce così qualcosa di bello, in silenzio e basta, scrive nella copertina. Come nasce il vento che irrompe e ci scompiglia o ci rinfresca, ci rasserena o ci turba. Quando sei perso, "ciò che ha senso sono proprio le montagne di vento", le vedi, esse si stagliano come certezze, le senti, e lassù, nelle nubi, sospeso in quel vento, qualcuno può anche vivere. E anche "se fluttui nel buio e so che non torni più, avvolgi la mia scia se puoi".
Ti senti gli occhi galleggiare in una faccia morbida quando ascolti queste parole. Ci accomuna lo stesso lutto. Per lui nonna, per me zia, con la quale condividevamo gli stessi "campi di sole".
La malattia, la devianza e la morte sono citate in più di una canzone dell'ultimo disco dei "The Meat Cabbage. Amor proprio", così come le difficoltà di una donna cresciuta in una famiglia difficile o dell'essere gay. Dell'essere povero, dell'essere un "cacciatore di persone", dell'essere semplice, dell'essere spogliato dall'amore di una donna.
Ci sono ventenni e ci sono ventenni come Enrico, futuro infermiere, che scioglie le braccia conserte e nasconde le mani nelle tasche per timidezza, mentre ti guarda con quegli occhi color argilla intensi cangianti. E poi lo ascolti e capisci che qualcosa di carino sta capitando alla tua faccia. E' come se cominciasse ad emergere dallo sfondo, è come se i contorni si facessero più definiti. E' il sentirsi compresi, mentre lui canta, in un tutt'uno, nella sofferenza. La tua stessa.
In foto sopra Enrico Martinuz cantante dei The Meat Cabbage.