L'ABBRACCIO DI UN INFERMIERE

Voglio scrivere qui la mia intervista a due persone meravigliose:

Non potete immaginare la potenza di un abbraccio di un infermiere. 
Mi sembrava di sciupargli la divisa mentre le mie braccia gli avvolgevano il collo ed io appoggiavo il mento sulla sua spalla. Mi sentivo piccola, e fragile. Piangevo. Lui sapeva di cloroformio, e quella macchietta di tintura di iodio mi ricordava quella di mio marito, d'olio, sulla tutona blu, prima che morisse. 
Avevo sempre pensato che gli infermieri fossero distaccati dal mondo terreno di noi umani malati. Assistenti certo, devoti e attenti, ma staccati emotivamente. Temprati dal vento gelido del dolore altrui, abituati all'ennesimo calvario dei familiari, al sangue delle ferite, all'insensibilità di un abbraccio. 
Invece mi sbagliavo. 
L'abbraccio di un infermiere è quanto di più utile possa essere esistito durante la mia malattia. Era forte, geometrico e lungo. Infinitamente lungo. Era sincero, avvolgente, rassicurante e silenzioso, dentro e intorno.
Lo stringevo e le lacrime appannavano i bagliori aranciati in quell'angolo di cielo che intravvedevo dalla finestra. Avrei voluto che non finisse mai. 


Sono abituato ad eseguire una trentina di prelievi nel giro di un'oretta e contemporaneamente misuro la pressione, la temperatura e la saturazione. L'ansia di finire entro i tempi mi distacca dal mondo terreno e dalla sofferenza dei pazienti che devo bucare. Un occhio va ai drenaggi, un altro alla flebo, mentre una mano scrive, l'altra sposta le lenzuola e controlla gli arti inferiori dei malati. Prima ancora di aver fatto entrare il sole dalla finestra, somministro gli antibiotici in vena, le compresse per bocca e metto una croce sull'alvo. 
Odio questo pragmatico lavoro sequenziale. O meglio, lo odiavo. Fino a ieri. Quando ho regalato il mio abbraccio a quella donna. Umile, tenera e malata donna piangente. E' stato il primo abbraccio della mia vita ad una sconosciuta. E' stato intenso come una trasfusione d'affetto. Delicato come una goccia di fisiologica nelle vene, profondo come una cicatrice, che lascia si un segno indelebile, di amore per la mia professione.
Non avevo mai ridotto le distanze così. Ma nell'infermieristica non si devono fare calcoli. Non sono i tanti centimetri dal malato a proteggerlo dalle infezioni. Posso accarezzare un braccio, prendere una mano, sfiorare una guancia con il palmo senza creare epidemie batteriche. Basta conoscere regole e principi. Ma non avevo mai pensato a due braccia come a strumenti terapeutici dalla "risonanza" così "magnetica" in una corsia dove correre, sbrigarsi, fare e fare e ancora fare, sono essi la regola. 
Posso dirlo. Ieri sono diventato un infermiere completo.

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