CI SONO COSE CHE UN'INFERMIERA NON DOVREBBE NEANCHE SAPERE
Era nella stanza numero ventisei. Quella in fondo al corridoio. Quella accanto all'uscita di emergenza e alla porta di sicurezza dalla quale il sole al mattino è il primo ad entrare. Ma quel giorno l'ospedale le appariva invecchiato male. La facciata era maculata di impercettibili colate di ruggine dalle finestre e l'arancio sbiadito delle tapparelle incupiva le pareti anche da dentro.
Lei lo sapeva bene che lo avevano messo là per farlo stare tranquillo.
Era una questione di rispetto non di riluttanza. Era una questione di affetto per lei, infermiera in quel reparto, che si vedeva scorrere davanti l'ennesima storia della fine di tutto. No, non un traguardo raggiunto dal vecchietto felice di aver avuto gli occhi puntati sul mondo fino a novantacinque anni. La fine di un uomo che aveva ancora tanto da fare. Perchè a settant'anni un uomo ha ancora tanto da fare e da dire a chi lo ama.
Lui amava lei, sua figlia, e lei amava lui, suo papà, come una figlia devota e appassionata di ogni centimetro della sua pelle. Attratta da quel dopobarba al pino pumilio che inondava la stanza anche quando l'emorragia non si arrestava. Anche quando il respiro si faceva Cheyne Stokes. Il profumo di lui apparteneva alle lenzuola bianche, ai muri freddi, a quel letto scomodo. Apnee lunghe venti secondi lo facevano poi sussultare. Non era ancora la fine. Ma un'infermiera lo sa che gradatamente la respirazione si fa sempre più superficiale fino ad allungare le apnee. E così era lei a scappare dalla stanza, a voler prendere una boccata d'aria, a voler sparire, dileguarsi in fumo, trasformarsi in gas volatile, con la schiena scossa dai singhiozzi.
Ci sono cose che un'infermiera non dovrebbe neanche sapere quando a giacere sul letto c'è il suo adorato papà.
Eppure ogni istante è come scandito da piccoli passaggi. Ora le piastrine scenderanno. Ora l'emorragia invaderà il suo corpo. Ora la febbre salirà. Ora il cuore smetterà di battere. Non staccare quel monitor. Va tutto bene.
Invece lei lo sa. E' la fine. Gli occhi orlati di violetto. Fissi su un punto. Nel giorno della sua festa.
Lei lo sapeva bene che lo avevano messo là per farlo stare tranquillo.
Era una questione di rispetto non di riluttanza. Era una questione di affetto per lei, infermiera in quel reparto, che si vedeva scorrere davanti l'ennesima storia della fine di tutto. No, non un traguardo raggiunto dal vecchietto felice di aver avuto gli occhi puntati sul mondo fino a novantacinque anni. La fine di un uomo che aveva ancora tanto da fare. Perchè a settant'anni un uomo ha ancora tanto da fare e da dire a chi lo ama.
Lui amava lei, sua figlia, e lei amava lui, suo papà, come una figlia devota e appassionata di ogni centimetro della sua pelle. Attratta da quel dopobarba al pino pumilio che inondava la stanza anche quando l'emorragia non si arrestava. Anche quando il respiro si faceva Cheyne Stokes. Il profumo di lui apparteneva alle lenzuola bianche, ai muri freddi, a quel letto scomodo. Apnee lunghe venti secondi lo facevano poi sussultare. Non era ancora la fine. Ma un'infermiera lo sa che gradatamente la respirazione si fa sempre più superficiale fino ad allungare le apnee. E così era lei a scappare dalla stanza, a voler prendere una boccata d'aria, a voler sparire, dileguarsi in fumo, trasformarsi in gas volatile, con la schiena scossa dai singhiozzi.
Ci sono cose che un'infermiera non dovrebbe neanche sapere quando a giacere sul letto c'è il suo adorato papà.
Eppure ogni istante è come scandito da piccoli passaggi. Ora le piastrine scenderanno. Ora l'emorragia invaderà il suo corpo. Ora la febbre salirà. Ora il cuore smetterà di battere. Non staccare quel monitor. Va tutto bene.
Invece lei lo sa. E' la fine. Gli occhi orlati di violetto. Fissi su un punto. Nel giorno della sua festa.