DATEMI UNA SIGARETTA

Una t-shirt ingrigita, un golfino infeltrito sulle spalle, il berretto di lana e i pantaloni del pigiama a quadri scozzesi. Nella sua "singlitudine" era pure buffa. Le mancava solo la sigaretta in bocca, bramosa di fumarla come se fosse in astinenza. E lo era in effetti. La chiedeva a tutti quelli che passavano di là agitando il suo golfino fiorito come in un balletto.
Se ne stava all'ingresso, seduta sulla sedia a rotelle, con l'ago al braccio e la flebo in corso. Qualcuno doveva averla accompagnata là fuori e parcheggiata come un'auto sotto zero. Non voglio pensare che ci sia arrivata da sola ma il dubbio l'ho avuto. Mi sono avvicinata e non ho fatto in tempo a chiederle in che reparto fosse ricoverata nè se avesse avuto bisogno di aiuto che in un nanosecondo mi rubava le parole chiedendomi insistentemente una sigaretta. "Io non fumo signora e farebbe meglio a non farlo nemmeno lei oggi. Fa troppo freddo qui." Il mio senso materno era prevalso sulla comprensione del caso. Caso clinico dovrei sottolineare. La signora non stava certo attraversando un periodo facile.
Mi guardava come se le avessi appena lanciato un ordigno nucleare. Mi fissava come se non sapesse bene cosa dire nè cosa fare e temevo il peggio. Faceva ripetutamente roteare le ruote della carrozzina avanti e indietro, avanti e indietro e ancora avanti e indietro con un gesto di dubbia psicosi. Poi si levò il berretto verde ramarro e me lo lanciò. Lo presi al volo e lei aveva gli occhi acquosi dietro ad un paio di occhiali mezzi rotti.
I capelli trascurati e ingrassati sembravano fettucce bagnate. Non le era piaciuto il mio invito ad entrare e tantomeno il fatto che non avessi una sigaretta da offrirle.
La tosse, insistente, a tratti grassa e a tratti secca e acuta come il latrato di un cane, le rubava il respiro, soffocava ogni boccata d'ossigeno, si beffeggiava del cattivo tempo e del freddo polare. Il panico le mordeva le caviglie.
Pensavo all'assurdità della sua vita e alla contemporanea irrazionalità nel voler fumare una sigaretta a tutti i costi. Pensavo con rabbia, a quante persone lottano contro il cancro ai polmoni o contro altri cancri che vedono nel fumo il loro principale fattore di rischio. E a lei innocua, fragile e malata; assistita da un sistema che le da tutto ciò di cui ha bisogno, amorevoli cure, farmaci costosi, infermiere preparate, medici competenti, operatrici attente. Ma quello schiaffo in faccia al nostro sistema sanitario non mi è andato giù. Quel voler farsi del male a tutti i costi, quel disamore per la vita, quell'annullamento di sè, se ne andava giù dritto nei suoi polmoni insieme al fumo catramoso della sua stupida sigaretta. E a me non è piaciuto per nulla.
Poi, quasi con i sensi di colpa, ho impacchettato il mio pensiero. L'ho deglutito e sentito pesante. Sono ripassata attraverso quella stessa porta e non ho più visto la signora. E se fosse stato il suo ultimo desiderio?. Non è forse concesso a chiunque di scegliere come morire?
Si, forse era felice così...
Mi sono imbavagliata e sono tornata a casa mia.

Fanni Guidolin
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