UNA VESCICA COMPLETAMENTE NUOVA
E' una relazione pericolosa quella che si viene a creare fra il tuo corpo e il tuo nuovo "me", dopo il cancro.
In un'epoca in cui il design è celebrato per l'estetica, alcuni urologi intendono usarlo per creare uomini migliori. Soluzioni audaci certo, ma che funzionano, anche se non subito.
Quando mi hanno proposto l'intervento di ricostruzione della vescica, dovendo asportare la mia malata, non ho avuto esitazioni.
La cosa che desideravo in assoluto era estirpare quel cancro e non soffrire più. Ma...No, non avrei accettato un sacchetto sulla pancia io.
Il primario mi propose la "fabbricazione" di una vescica a partire da un piccolo pezzetto del mio intestino, che sarebbe stato tagliato, aperto e rovesciato, per dirla in parole semplici. Cucito a forma di sacchettino, collegato agli ureteri che scendono dai reni e al resto dell'uretra. L'intestino trasformato in saccoccia avrebbe iniziato a fare le veci di una vescica normalissima, con qualche intoppo iniziale legato alla sezione dei muscoli sfinterici e al taglia-cuci obbligato.
Mi sono svegliato con un catetere, due tubi sulla pancia che gli infermieri chiamavano drenaggi, un sondino al naso, e poi due aghi sulle braccia e uno sul collo, la pancia squartata, un cateterino sottile che usciva dalla mia schiena con un'altra boccetta antidolorifico e nessun dolore.
Mi chiedevo come fosse possibile non provare alcun dolore.
E mi chiedevo se avrei mai più sentito lo stimolo vescicale, se mi sarei mai più sentito "normale".
Ebbene, la nuova vescica, vestita di "pelle d'intestino" sarebbe diventata magicamente, in poche settimane, una vescica in "carne ed ossa".
Il mio vicino di letto si è svegliato l'indomani nelle mie stesse condizioni, con la differenza che a troneggiare sulla sua pancia c'era un sacchetto raccogli urina. La chiamavano "stomia" gli infermieri, quella budella rossa grande come una ciliegia cucita sulla pancia. Il sacchetto adesivo era appiccicato intorno, per raccogliere l'urina come una pseudo vescica. Non era stato possibile confezionargliela artisticamente come a me.
Ci confrontavamo ogni giorno. Contavamo quanti tubi aveva uno rispetto all'altro. Si scherzava, per sdrammatizzare.
Alla rimozione del catetere io avevo la sveglia ogni due ore per premere la mia pancia e cercare di mingere. Giorno e notte. Indossavo un pannolino per l'incontinenza che di notte era totale e incontrollabile, mi demoralizzavo. Lui invece, dormiva come un ghiro, con la sacca collegata ad una saccoccia più grande, doveva solo ricordarsi ogni tanto, di giorno, di aprire il piccolo rubinetto plastificato e svuotarla.
Ho desiderato quel sacchetto tanto quanto lui la mia vescica "artistica" (ho saputo che la mia si chiama vescica ileale padovana).
Dubbi ci assalivano guardandoci. Forse avevo sbagliato a rifiutare il sacchettino. In fondo lo nascondeva bene sotto ai pantaloni. Era asciutto e non odorava. Io ero costretto ad esercizi di rinforzo dei muscoli sfinterici, a controllare la respirazione, a concentrarmi ogni qual volta dovevo alzarmi dal letto e camminare. Dovevo ricordarmi di impostare la sveglia, eseguire un cateterismo ogni tanto per valutare il ristagno di urina, pesare il panno.
Lui dal canto suo invidiava la mia "apparente normalità", il fatto che mi sedessi sul wc come prima, che potessi esibire il mio addome senza impicci e sentirmi normale.
Non si è mai accorto del mio pannolone. Non si è mai accorto del mio sconforto nè della mia invidia nei suoi confronti.
Ci ha aiutato la nostra terapista perineale a non perdere neanche un minuto per vivere il sogno di qualcun altro. Ognuno di noi ha un dono eccezionale ma richiede molto lavoro per capire che cosa ci porta alla gioia. Io l'ho capito quando mi hanno detto che il cancro non c'era più. E allora accetti tutto.
In un'epoca in cui il design è celebrato per l'estetica, alcuni urologi intendono usarlo per creare uomini migliori. Soluzioni audaci certo, ma che funzionano, anche se non subito.
Quando mi hanno proposto l'intervento di ricostruzione della vescica, dovendo asportare la mia malata, non ho avuto esitazioni.
La cosa che desideravo in assoluto era estirpare quel cancro e non soffrire più. Ma...No, non avrei accettato un sacchetto sulla pancia io.
Il primario mi propose la "fabbricazione" di una vescica a partire da un piccolo pezzetto del mio intestino, che sarebbe stato tagliato, aperto e rovesciato, per dirla in parole semplici. Cucito a forma di sacchettino, collegato agli ureteri che scendono dai reni e al resto dell'uretra. L'intestino trasformato in saccoccia avrebbe iniziato a fare le veci di una vescica normalissima, con qualche intoppo iniziale legato alla sezione dei muscoli sfinterici e al taglia-cuci obbligato.
Mi sono svegliato con un catetere, due tubi sulla pancia che gli infermieri chiamavano drenaggi, un sondino al naso, e poi due aghi sulle braccia e uno sul collo, la pancia squartata, un cateterino sottile che usciva dalla mia schiena con un'altra boccetta antidolorifico e nessun dolore.
Mi chiedevo come fosse possibile non provare alcun dolore.
E mi chiedevo se avrei mai più sentito lo stimolo vescicale, se mi sarei mai più sentito "normale".
Ebbene, la nuova vescica, vestita di "pelle d'intestino" sarebbe diventata magicamente, in poche settimane, una vescica in "carne ed ossa".
Il mio vicino di letto si è svegliato l'indomani nelle mie stesse condizioni, con la differenza che a troneggiare sulla sua pancia c'era un sacchetto raccogli urina. La chiamavano "stomia" gli infermieri, quella budella rossa grande come una ciliegia cucita sulla pancia. Il sacchetto adesivo era appiccicato intorno, per raccogliere l'urina come una pseudo vescica. Non era stato possibile confezionargliela artisticamente come a me.
Ci confrontavamo ogni giorno. Contavamo quanti tubi aveva uno rispetto all'altro. Si scherzava, per sdrammatizzare.
Alla rimozione del catetere io avevo la sveglia ogni due ore per premere la mia pancia e cercare di mingere. Giorno e notte. Indossavo un pannolino per l'incontinenza che di notte era totale e incontrollabile, mi demoralizzavo. Lui invece, dormiva come un ghiro, con la sacca collegata ad una saccoccia più grande, doveva solo ricordarsi ogni tanto, di giorno, di aprire il piccolo rubinetto plastificato e svuotarla.
Ho desiderato quel sacchetto tanto quanto lui la mia vescica "artistica" (ho saputo che la mia si chiama vescica ileale padovana).
Dubbi ci assalivano guardandoci. Forse avevo sbagliato a rifiutare il sacchettino. In fondo lo nascondeva bene sotto ai pantaloni. Era asciutto e non odorava. Io ero costretto ad esercizi di rinforzo dei muscoli sfinterici, a controllare la respirazione, a concentrarmi ogni qual volta dovevo alzarmi dal letto e camminare. Dovevo ricordarmi di impostare la sveglia, eseguire un cateterismo ogni tanto per valutare il ristagno di urina, pesare il panno.
Lui dal canto suo invidiava la mia "apparente normalità", il fatto che mi sedessi sul wc come prima, che potessi esibire il mio addome senza impicci e sentirmi normale.
Non si è mai accorto del mio pannolone. Non si è mai accorto del mio sconforto nè della mia invidia nei suoi confronti.
Ci ha aiutato la nostra terapista perineale a non perdere neanche un minuto per vivere il sogno di qualcun altro. Ognuno di noi ha un dono eccezionale ma richiede molto lavoro per capire che cosa ci porta alla gioia. Io l'ho capito quando mi hanno detto che il cancro non c'era più. E allora accetti tutto.
L'intervento di cistectomia radicale con confezionamento di una nuova vescica interna (vip) o di una derivazione esterna (sacchetto) viene proposto a pazienti selezionati. Entrambi gli interventi presentano pro e contro. Ogni fase della malattia, della cura e della riabilitazione deve essere accuratamente spiegata al paziente, in tutti gli aspetti.
Spesso un sacchettino (stomia) consente una migliore qualità di vita inizialmente.
Nel lungo termine, la qualità di vita è sovrapponibile.
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