L'angolo della psicologa: LA COMUNICAZIONE TRA MEDICO E PAZIENTE

Da un sondaggio del Tribunale per i diritti dei malati di ottobre 2017 risulta che una persona su tre trova nel medico scarsa disponibilità ad orientare, una su quattro si confronta con un linguaggio poco comprensibile e una su cinque ha vissuto scarsa attenzione al dolore. Un medico su tre afferma di non avere adeguato tempo a disposizione.
La difficoltà di relazionarsi con il medico, è un argomento che emerge nei gruppi di auto mutuo aiuto. In particolare i pazienti riferiscono di aver riscontrato scarsa propensione al dialogo e alla spiegazione di quanto stava loro succedendo.
Se partiamo dal presupposto che il primo assioma della comunicazione afferma che non si può non comunicare è anche vero che nell’ambulatorio o nella stanza di degenza, c’è sia il medico che il paziente. Infatti, ambedue sono “degli esperti”, il medico della patologia, e il paziente del suo star male. E’ quindi fondamentale che le due persone comunichino in modo chiaro e semplice.
Il medico è il primo a sentirsi a disagio nel dover comunicare cattive notizie. E’ una persona, prima che un professionista. E sa che il paziente è lì, in attesa di sapere cosa gli dovrà dire.
Nei gruppi sia io, come psicologa, che la stomaterapista Fanni Guidolin, cerchiamo di rassicurare i pazienti. Diciamo loro che non devono essere intimoriti dalla figura del medico, che facciano tutte le domande che sentono possano essere utili per sentirsi compresi. E per capire cosa dovranno affrontare. Quando ci si sente comunicare una diagnosi di malattia come quella tumorale è inevitabile rabbrividire, avvertire tremare le gambe e la voce, e avere il pensiero bloccato o che corre senza sosta. E’ anche vero che ogni medico ha le proprie caratteristiche sia personali che professionali e queste possono condizionare la modalità con cui si relazionano con il paziente. Non dobbiamo però dimenticare che anche il paziente ha caratteristiche proprie, modalità individuali di reagire di fronte alla malattia. Un atteggiamento positivo, l’ottimismo, la fiducia nel prossimo, possono aiutare il proprio corpo a reagire alle avversità. Questo ai gruppi cerchiamo di riportarlo spesso, in quanto può fare davvero la differenza nella ripresa dopo la fase acuta.

Dott.ssa Caterina Bertelli 

psicologa

Post più popolari