L'angolo della psicologa: A CHI COMUNICARE LE "CATTIVE NOTIZIE"
Ai
gruppi di auto mutuo aiuto è emerso il tema del “consenso
informato” alle cure. La convenzione sui diritti dell’uomo e
sulla biomedica firmata ad Oviedo (Spagna) nel 1997 afferma che “Un
intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non
dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e
informato. Questa
persona riceve innanzitutto un’informazione adeguata sullo scopo,
sulla natura dell'intervento, sulle sue conseguenze e i suoi rischi.
La persona interessata può, in qualsiasi
momento, liberamente ritirare il proprio consenso."
(art. 5). Le uniche eccezioni all'obbligo
del consenso informato sono: le situazioni nelle quali la persona
malata ha espresso esplicitamente la volontà di non essere
informata; le condizioni della persona siano talmente gravi e
pericolose per la sua vita da richiedere un immediato intervento di
necessità e urgenza indispensabile. In
questi casi si parla di consenso presunto.
Quanto
sopra citato conferma come la persona malata abbia il diritto di
sapere quanto sta succedendo nel suo corpo, e quale possa essere il
trattamento possibile e attuabile. Talvolta succede che il malato
stesso non desideri essere informato rispetto alla malattia e alle
cure e in questo caso lo deve esplicitare, dichiarando eventualmente
a chi desidera vengano date informazioni relative al suo stato di
salute. I famigliari se coinvolti dal paziente nel processo di cura,
possono diventare dei preziosi sostenitori e validi “rinforzatori”
di speranza. Purtroppo però, non si può negare che qualche volta
tutta la famiglia diventi un’“unità sofferente” Di fatto, nel
corso degli anni, si è passati dal curare la malattia al prendersi
cura della globalità della persona, inserita in un contesto
famigliare e sociale. Per quanto sopra esposto, i nostri gruppi di
auto mutuo aiuto, sono aperti non solo ai pazienti ma anche ai
famigliari. Spesso arrivano coniugi e figli: non vengono come
semplici accompagnatori, ma come parte integrante del gruppo. Quando
arrivano, hanno la sensazioni di sentirsi inutili, impotenti, non in
grado di supportare il loro famigliare malato. Si cerca quindi di
valorizzare il loro ruolo, la loro presenza, vengono aiutati ad
esprimere e condividere le loro preoccupazioni e il loro star male.
Un famigliare può far molto per il paziente, è la persona a cui
confidare i propri pensieri e le proprie emozioni ed esplicitarle, è
il primo passo per affrontare e superare le difficoltà. Ma non sono
le “valvole di sfogo” in quanto anche loro hanno bisogno di
esprimere quanto sentono dentro di sé. E la modalità di conduzione
dei gruppi lo permette. Possono per esempio affermare, che non sono
persone fredde e distaccate (così a volte li percepiscono i
pazienti) ma smarrite e impaurite. In questo modo quando escono, si
sentono alleggeriti. Il gruppo diventa uno spazio e un tempo per
sciogliere tensioni e incomprensioni e per riprendere una relazione
determinata da comprensione e dialogo.
Dott.ssa Caterina Bertelli
Psicologa
Dott.ssa Caterina Bertelli
Psicologa