IO, ARRABBIATO IN PERENNE ATTESA..DI UNA RISATA TERAPEUTICA
Ma dove accidenti ho messo il cellulare? Eccolo, in tasca.
Oggi dovrò sottopormi alla decima seduta di chemioterapia.
L'ho provata prima dell'intervento, l'ho subita dopo l'intervento ed ora, a distanza di mesi da quello che speravo rimanesse solo un brutto ricordo, sto riassaporandone gli effetti di un nuovo ciclo.
Cazzeggio con lo smartphone in attesa che il medico mi chiami per comunicarmi l'esito degli esami. Gli esami vanno bene? Mi inietteranno quel liquido rosso amaranto chiuso nella sacca gialla. Gli esami vanno male? I globuli bianchi boicottano? Niente veleni. Tornerò la prossima volta.
E si vivono notti e giorni in raccoglimento, con l'angoscia che il mostro spietato, si fortifichi grazie a questa pausa, e riprenda a distruggere organi solidi e liquidi.
E' cosi' che funziona questa dannata cura.
Eppure siamo in tanti qui. Qualcuno fissa il soffitto, qualcun altro punta a terra bucando il pavimento con lo sguardo, là, sotto al pavimento, chissà se le formiche soffrono. C'è chi si osserva l'un l'altro, spiando tranquillità o agitazione, o rubando quel briciolo di energia che appartiene solo a chi sta bene, ai familiari "accompagnanti", alle infermiere impegnate, ai medici occupati.
Stanno bene? Stanno davvero tutti bene quelli che regalano sorrisi e anticipano il tuo "come stai?" di un nanosecondo ?
La risposta è si. Perchè altrimenti sarebbero qui con me, in fila per una dose di veleno, con la faccia triste e la rabbia che gratta in gola.
La risposta è si, ma hanno il coraggio di rispondere "no".
Come state voi dal sorriso smagliante e il corpo attivo? Così così, insomma, male, malissimo.
Lo dicono per empatia? Non credo.
Hanno strisciato la macchina uscendo dal cancello. Ecco perchè sono nevrotici stamattina.
Hanno litigato con la moglie per il caffè versato nella tovaglia pulita del mattino. La lavatrice è rotta, l'idraulico è introvabile e ci sono le feste. Sono incavolati neri più di ieri.
Hanno prenotato il viaggio in Messico e la compagnia aerea ha posticipato la partenza. Che sfortuna!.
Eh già, stanno così così, insomma, stanno male, malissimo loro.
Mi stringo nel cappotto ancora un po', quasi per alleviare la sofferenza dell'attesa. Su Facebook, amici felici cantano a perdifiato le canzoncine di Natale. Convivono in un mondo che langue, dai contorni incerti ma dove qualcuno riesce a trovare attimi di felicità, che ora si paga a peso d'oro.
Giro su Instagram. Navigo nella moltitudine di colori e grafismi di foto meravigliose. Provo per un istante il piacere di alleggerirmi. Mi incanto sulle foto di piazze, giardini o palazzi che cambiano pelle ogni mese solo perchè puoi modificare la tonalità con una app. Magari potessi modificare la tonalità del mio umore.
Tengo una mano sprofondata nella tasca, a scaldarsi. Scorro con il pollice dell'altra mano i video su You Tube. La vita, nonostante tutto, non si ferma, continua a scorrere, incurante della mia esistenza, della mia trama ingarbugliata e ostile. Mi imbatto in Leyla, malata di cancro pure lei. Sul volto, occhiali da sole troppo ampi per un viso minuto, nascondono anche le sopracciglia parlanti.
Si perchè io credo che le sopracciglia possano esprimere le nostre emozioni e il nostro carattere.
Puoi arcuarle corrugando la fronte se sei preoccupato, o disegnarle sottili e allungate solamente distendendo lo sguardo. Spesse, a nido, che si toccano in centro, a coda di rondine, sfumate o che accompagnano le rughe intorno agli occhi, cerchiando lo sguardo allegro quando sorridi.
Clicco fotocamera e giro su di me l'obiettivo. Osservo le mie. Faccio qualche smorfia stupida, mi scatto un selfie. Ho ancora i capelli, sciolti, arruffati, non come li ricordavo. Fisso lo schermo. Nessun battito di ciglia, nemmeno uno scintillio dell'iride. Mi sento in frantumi. Poi decido.
Apro questa stupida app che modifica i volti. Mi faccio cane, orsetto, gatto. Maiale, pollo, pecora e rinoceronte. Sorrido. Rido e poi più forte, imbarazzato.
Quanto poco ci basta per un grammo di felicità.
Ecco il dottore, tocca a me.
"Niente terapie signor Leo, ci vedremo tra quindici giorni".
Porca miseria.
Colgo l'attimo e con ottimismo decido. Si Leo, saranno quindici giorni di risate, mi dico.
Allora via a casa a studiare i video di Checco Zalone e tutta la cultura di Zelig o Colorado. Una commedia a teatro in dialetto veneto, e la ricerca in internet dei benefici della "risata".
E lo avreste mai detto che i miei esami del sangue si aggiustassero come per magia?
Tutto merito mio.
Fanni Guidolin
Oggi dovrò sottopormi alla decima seduta di chemioterapia.
L'ho provata prima dell'intervento, l'ho subita dopo l'intervento ed ora, a distanza di mesi da quello che speravo rimanesse solo un brutto ricordo, sto riassaporandone gli effetti di un nuovo ciclo.
Cazzeggio con lo smartphone in attesa che il medico mi chiami per comunicarmi l'esito degli esami. Gli esami vanno bene? Mi inietteranno quel liquido rosso amaranto chiuso nella sacca gialla. Gli esami vanno male? I globuli bianchi boicottano? Niente veleni. Tornerò la prossima volta.
E si vivono notti e giorni in raccoglimento, con l'angoscia che il mostro spietato, si fortifichi grazie a questa pausa, e riprenda a distruggere organi solidi e liquidi.
E' cosi' che funziona questa dannata cura.
Eppure siamo in tanti qui. Qualcuno fissa il soffitto, qualcun altro punta a terra bucando il pavimento con lo sguardo, là, sotto al pavimento, chissà se le formiche soffrono. C'è chi si osserva l'un l'altro, spiando tranquillità o agitazione, o rubando quel briciolo di energia che appartiene solo a chi sta bene, ai familiari "accompagnanti", alle infermiere impegnate, ai medici occupati.
Stanno bene? Stanno davvero tutti bene quelli che regalano sorrisi e anticipano il tuo "come stai?" di un nanosecondo ?
La risposta è si. Perchè altrimenti sarebbero qui con me, in fila per una dose di veleno, con la faccia triste e la rabbia che gratta in gola.
La risposta è si, ma hanno il coraggio di rispondere "no".
Come state voi dal sorriso smagliante e il corpo attivo? Così così, insomma, male, malissimo.
Lo dicono per empatia? Non credo.
Hanno strisciato la macchina uscendo dal cancello. Ecco perchè sono nevrotici stamattina.
Hanno litigato con la moglie per il caffè versato nella tovaglia pulita del mattino. La lavatrice è rotta, l'idraulico è introvabile e ci sono le feste. Sono incavolati neri più di ieri.
Hanno prenotato il viaggio in Messico e la compagnia aerea ha posticipato la partenza. Che sfortuna!.
Eh già, stanno così così, insomma, stanno male, malissimo loro.
Mi stringo nel cappotto ancora un po', quasi per alleviare la sofferenza dell'attesa. Su Facebook, amici felici cantano a perdifiato le canzoncine di Natale. Convivono in un mondo che langue, dai contorni incerti ma dove qualcuno riesce a trovare attimi di felicità, che ora si paga a peso d'oro.
Giro su Instagram. Navigo nella moltitudine di colori e grafismi di foto meravigliose. Provo per un istante il piacere di alleggerirmi. Mi incanto sulle foto di piazze, giardini o palazzi che cambiano pelle ogni mese solo perchè puoi modificare la tonalità con una app. Magari potessi modificare la tonalità del mio umore.
Tengo una mano sprofondata nella tasca, a scaldarsi. Scorro con il pollice dell'altra mano i video su You Tube. La vita, nonostante tutto, non si ferma, continua a scorrere, incurante della mia esistenza, della mia trama ingarbugliata e ostile. Mi imbatto in Leyla, malata di cancro pure lei. Sul volto, occhiali da sole troppo ampi per un viso minuto, nascondono anche le sopracciglia parlanti.
Si perchè io credo che le sopracciglia possano esprimere le nostre emozioni e il nostro carattere.
Puoi arcuarle corrugando la fronte se sei preoccupato, o disegnarle sottili e allungate solamente distendendo lo sguardo. Spesse, a nido, che si toccano in centro, a coda di rondine, sfumate o che accompagnano le rughe intorno agli occhi, cerchiando lo sguardo allegro quando sorridi.
Clicco fotocamera e giro su di me l'obiettivo. Osservo le mie. Faccio qualche smorfia stupida, mi scatto un selfie. Ho ancora i capelli, sciolti, arruffati, non come li ricordavo. Fisso lo schermo. Nessun battito di ciglia, nemmeno uno scintillio dell'iride. Mi sento in frantumi. Poi decido.
Apro questa stupida app che modifica i volti. Mi faccio cane, orsetto, gatto. Maiale, pollo, pecora e rinoceronte. Sorrido. Rido e poi più forte, imbarazzato.
Quanto poco ci basta per un grammo di felicità.
Ecco il dottore, tocca a me.
"Niente terapie signor Leo, ci vedremo tra quindici giorni".
Porca miseria.
Colgo l'attimo e con ottimismo decido. Si Leo, saranno quindici giorni di risate, mi dico.
Allora via a casa a studiare i video di Checco Zalone e tutta la cultura di Zelig o Colorado. Una commedia a teatro in dialetto veneto, e la ricerca in internet dei benefici della "risata".
E lo avreste mai detto che i miei esami del sangue si aggiustassero come per magia?
Tutto merito mio.
Ringrazio Leo per questa bellissima esperienza che mi ha raccontato.
Ho voluto scriverlo. Per tutto coloro che si stanno sottoponendo alla chemioterapia e che vogliono sentirsi compresi e aiutati.
Fanni Guidolin