LA RAGAZZA CON LA CAMICIA DI SETA

Ho aperto le ante dell'armadio con entrambe le mani e respirato un'aria di vecchio, di fermo, di stantio. Lo so che è solo una mia brutta e sofisticata fissazione e che il mio armadio profuma di lavanda, ma io quell'odore ho cominciato a sentirlo salire dal nulla, in un bel giorno qualunque della settimana scorsa. E' arrivato il momento di insacchettare quello che non uso più, che non va più bene, che mi ricorda la malattia. Al diavolo i cicalecci di mamma e sorella: "non buttare Miriam, non buttare".
Ho recuperato otto miseri chili che hanno riempito solamente il giro vita e le cosce. Dei ventidue persi, il ricordo lo reggo in mano, in questi pantaloni di felpa brufolosi in taglia extra extra large. Allentavo la coulisse durante le chemioterapie che mi gonfiavano come una botte e la stringevo dopo l'intervento, col passare delle settimane. Come una vile copista, perseguivo lo stile di tutte le malate di cancro, scegliendo la comodità.
Eccola la camicetta delle visite!. E' una camicia avorio, in seta morbidissima. Quando la indossavo mi sentivo elegante e adeguata ad ogni situazione professionale. Alle visite mediche, con i vari specialisti, incorniciava il mio volto pallido con un pendant indescrivibile. Non si capiva dove iniziasse il colletto e dove il mio mento. Un tutt'uno. In una parola : orrenda. La ragazza con la camicia di seta... che indossava un sorriso disincantato.
Nel sacco blu infilo i leggings e i pantacollants elasticizzati ed elettricizzati che tanto mi facevano sentire ringalluzzita, le felpe con il cappuccio, che tiravo su per non mostrare i capelli scarmigliati quando ancora non portavo il turbante, l'accappatoio rosso bordeaux delle docce in ospedale. Sa di disinfettante. Via tutto, senza rimorsi. I brutti ricordi li voglio lavare via, sbiancare e dimenticare.
Nella scatola a quadretti rossi e verdi ho messo la biancheria intima e le fasce elastiche. Vibrazioni stordenti mi prendono nell'aprirla. Guaine, ventriere, cinture con velcro ne ho da vendere. Coprivano il sacchetto sulla pancia e limitavano gli odori nascondendoli.
E' incredibile come ci si senta liberi nel buttare ciò che ha rappresentato una fetta di vita sofferta. E' come ripartire da zero. Con nuova biancheria intima, un pantalone fresco e due t-shirt. Non occorre un guardaroba da fashion blogger, basta imprimersi un sorriso e scegliere i colori giusti.
Butto anche il trolley sconquassato che mi ha seguito nel tragitto parcheggio- primo piano. Le rotelline sono distrutte e il cigolio insopportabile.
E butto il gloss che mi stendevo sulle labbra quando le sentivo secche.
Avevo speso una cifra. Era di marca. Di quelle super firme fashion che ti fanno apparire bella quando neanche un restyling totale ti farebbe sentire tale. Chissenefrega. Odora di ferro, di acido e di cattivo.
Le infradito, che mi trascinavo dietro per le dita gonfie, le ho lavate in lavatrice con ammoniaca e candeggina. Volevo distruggere ogni batterio ospedaliero.
Nell'angolo dell'armadio ci sono i jeans. Quelli aderenti, quelli aderenti ma non troppo e quelli a vita alta, i Levis a vita bassa, gli elasticizzati, quelli corti alla caviglia e quelli a palazzo. Li butto tutti dopo averli aperti in fila sul letto, come in una vera passerella effimera che offre uno spettacolo nauseabondo. Ed io sono qui, a sprofondare nel tappeto di juta, colpita da quel tubino assassino che non ho più indossato e da quella canotta fascinosa che vola nel sacco giallo per il mercatopoli.
Ma tra un lancio e l'altro in questa cernita liberatoria spazzo via tutti i tristi ricordi, senza esporre alla compassione degli astanti il mio volto disfatto e la mia aria afflitta, e do un nuovo inizio, a questa nuova me che riconosco appena ma che tanto e dico tanto, ora mi piace.


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