CON LA SPERANZA DI FARCELA

Grazie Paolo...

Mi reco a lavoro con la pesantezza sulle spalle di chi deve portare una tonnellata di cemento.
Non ho dormito affatto e le palpebre necessiterebbero di due puntali per restare aperte.
I miei problemi sembrano ciondolare incessantemente notte e giorno e mi sento totalmente soggiogata dall'incertezza delle mie azioni.
Corro in auto con una strana allucinazione urbana. Dov'è finita l'allegria che fino a ieri mi trasportava mollemente dovunque?. Abbasso lo specchietto retrovisore: l'eterna riga di kajal che incornicia il mio sguardo assomiglia ad un getto di inchiostro sugli occhi di un panda. Oggi anche i capelli sono schizzati come fili elettrici. Mi faccio letteralmente schifo.
Si, Fanni è anche questa. Un'infermiera con le sue debolezze e la sua "scarica" inesplosa. E non basterà attaccare la spina alla presa stavolta. Ho bisogno di aiuto. Mi sento schiacciata. Stipata come un branco di aringhe nella Manica, soffocata da un'egoistica contabilità dell'essere umano.
Corro sulla corsia di sorpasso, oggi sono un'incosciente ritardataria. E oggi dovrò anche aiutare molte persone. Verranno pazienti sofferenti che mi racconteranno di non farcela, nonne malate in pensiero per nipoti delinquenti o figli poco presenti e mariti ansiosi per la malattia delle mogli. Verranno giovani stomizzati che non accettano la condizione, imbalsamati nel tempo dell'attesa di una ricanalizzazione intestinale che forse non avverrà mai, e anziani cardiopatici con tre o quattro by pass, da sostenere, caricare. E verranno anche donne come me, con una giornata semplicemente storta e scaricate dell'energia che normalmente le contraddistingue. Verranno in cerca di una parola o due, di un abbraccio e di un sorriso. Verranno per un consiglio o solo per un saluto. Verranno per avere la conferma, da parte mia, che stanno andando bene, che vivranno ancora a lungo, che i loro occhi potranno gioire e vedere. 
Il mio lavoro mi imporrà di lasciare i miei problemi fuori dalla porta, scaricandone prima un paio anche dal finestrino dell'automobile. Sarò costretta a chiudere tutti i cassetti del mio dolore e ad imprimermi un sorriso forzato, quanto più simile possibile ad un sorriso vero. 
Entrerò in ambulatorio inspirando profondamente e lancerò dalla finestra tutte le parolacce che vorrei dire a non so chi. E mi siederò sulla sedia girevole, accendendo il computer, aprendo l'agenda e firmando fogli bianchi, con la speranza di farcela. 

"Avanti !"
"Buongiorno Fanni!" Esclama il mio paziente.
"Buongiorno carissimo !"
"Come va oggi ?" (legge il mio volto???) mi chiede.
"Sono io che lo devo chiedere a lei caro paziente. Come sta oggi?". Gli chiedo con sorriso smagliante solo nella forma e non nella sostanza. 
"Io bene, ma lei ....la vedo tirata... Tutto a posto ?" (inutile mascherare)
Vorrei fare un rocambolesco volo pindalico per non rispondere. Mento? Non riesco.
"............. eh no purtroppo. Oggi sto soffrendo quanto lei un tempo, ma spero passi in fretta..."
Mi guarda basito. Non parla, non proferisce parola. Mi mette una mano sulla spalla e mi accarezza una guancia. E' strano ricevere una carezza da un paziente. E' la prima volta in tanti anni. 
 Rotolano minuti. Io ho gli occhi rossi. Sto per piangere. Non devo. Non devo. Non devo mi ripeto. Scrollo le spalle. "Voglio restituirle tutto quello che lei mi ha dato in questi anni cara Fanni: tutto passa. Tutto può cambiare. Tutto può migliorare. Basta la forza di volontà. Lo ricordi".

Le frasi mi sono rimbalzate dentro. Mi hanno curato. E' stato come riscoprire in un attimo un vecchio libro ingiallito. Il mio paziente ha fuso il suo dolore al mio, mirabilmente. Mi ha districato da quel filo d'ansia del dover solo DARE. Come argento liquido le sue parole mi hanno consolato ridando al mio sorriso lo smalto perso. Ed ho potuto aiutare tutti gli altri. 
Grazie Paolo...


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