MI RIEMPIO DI RICORDI

La mia paziente ha seguito il mio consiglio e la ringrazio. La sua città nasconde i suoi segreti e i suoi ricordi. Provare a visitarla come se dovesse ricercarli può essere davvero terapeutico.

Quel campanile laggiù appartiene alla chiesa sul cui piazzale, da bambina, mi trovavo con gli amici.
L'ospedale dipinto con i colori del cielo, che si intravvede da qui, era solo un bussolotto di cemento, iniziato quando sono nata, negli anni settanta, e terminato poco più di dieci anni fa.
Quello in fondo è il Borgo Vicenza. C'era la bottega di alimentari dove i miei facevano la spesa il sabato. Oggi c'è un supermercato molto frequentato e ci vado ancora.
Dalla finestra si vede la torre dell'orologio e se ti sporgi, quaggiù c'è la Via Riccati con la casupola di mia nonna di fronte alla chiesa di San Giacomo.
Non è cambiato molto da allora. La stessa via, lo stesso borgo, le stesse persone...
Sono cambiata io.
Sono guarita dopo un intervento chirurgico, sei mesi di chemioterapia e trentatrè sedute di radioterapia. Guarita. Marcatori ko. Esami perfetti. Zero malattia.
Ma da quando sono guarita dal cancro non esco più di casa. Temo il traffico, i colpi d'aria, la luce intensa, temo la mia piccola città. Castelfranco Veneto, il suo centro, il castello, il Duomo imponente, tutto mi sembra estraneo, troppo frenetico per la mia convalescenza.
E oggi, guardandomi allo specchio, sento sfiorire anche le mie origini, come se il mio passato andasse in oblio. Sono talmente concentrata sul presente che dimentico chi sono e da dove vengo. Non voglio.
Così cerco quella forza di un tempo dentro di me. Quella forza dirompente di protesta e consolazione al tempo stesso che mi spinga negli angoli della mia infanzia, a rubarne i colori, le voci, le immagini.
Mi carico dell'eccitazione infantile di una piccola gita fuori casa e decido di godermi lo spettacolo a piedi. Esco.
E respiro vita.
Mi fermo qui, sul marciapiede del Borgo Treviso, per poi svoltare a destra, in Via Bastia Vecchia. Un luogo cerniera della mia infanzia dove il caseggiato scalcinato proteggeva le urla echeggianti di noi bambini.
Aleggia un ricordo che si fa vivo. Rimpiango con amarezza di non averlo baciato a lungo quel ragazzino dagli occhi di ghiaccio, là, sul pilastro di mattoni sbrecciati. Mi fissava con sguardo luciferino ed io seppi resistergli.
Guardo i passeggiatori castellani, privi di traguardi concreti, che camminano con la testa girata verso le vetrine.  Non capiscono che il bello è esattamente dalla parte opposta?. Quel possente quadrato di mattoni rossi circondato da un ampio fossato fu eretto alla fine del 1100. Quante estati trascorse sul muretto a chiaccherare con gli amici e a mangiare il gelato del Bar Borsa, una loggia del 1400 edificata per la copertura e la contrattazione delle biade, detta Paveion.
Anche se cammino come se avessi una tartaruga al guinzaglio, mi spingo dentro al castello.
Un'infilata di piccole case antiche si apre dietro al Teatro Accademico, prezioso gioiello del 1700, dentro le mura. E là, una stradina colorata sepolta da un palazzo austero che cancella uno dei ricordi più belli, mi immobilizza.
Ci si sedeva su tre gradini scomparsi, a leggere libri e a parlare dei progetti futuri.
Ora, il passato si intreccia così strettamente al presente da non risultare assolutamente un peso. Perchè è così la vita. Anarchica, fa come vuole lei. Rimbombante quando deve ricordarti di esistere, petulante, se non la tratti bene. Ed e' anarchica anche la morte, che ti toglie il futuro, quando vuole lei. Ma tu, di quei ricordi ti prego, non liberarti mai, sono la tua forza. Ed io oggi, mi voglio riempire di essi.

scritto da Fanni Guidolin


Cerca anche tu ricordi e segreti nella tua città. 
E' un modo per dimenticare la malattia.


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