La sedia a rotelle proprio no
Ha accettato tutto Daniela.
Una stomia intestinale, due reni che non funzionano, un cancro dell'ano, la chemioterapia, la radioterapia e la vescica bruciata, l'incontinenza ed ora due macchie sul polmone. Cateteri, sacchetti e drenaggi. Ma quella sedia laggiù, quella nera, col cuscino anti decubito azzurro cielo e due ruote gigantesche in acciaio cromato, proprio no. Si, quella sedia con il doppio freno e la manopola per avanzare senza sporcarsi, lo schienale imbottito e le tasche portatutto laterali. Daniela non la vuole neanche vedere la sedia a rotelle. Lei, che instancabile faceva le pulizie anche col febbrone e il vomito, ha sempre combattuto il male affrontandolo di petto, smontandolo pezzo dopo pezzo. Nessuna lamentela, nessun cedimento, solo tanta voglia di farcela. Sempre alla ricerca di idee misteriose da contemplare prima di farle sue.
E' la gamba sinistra a non reggere più in piedi Daniela. Donna di tutto punto. Signora raffinata della Montebelluna bene, trevigiana innamorata del suo paese e di suo marito, tanto. Come lui di lei, che non si separa mai dalla sua vicinanza e le tiene ancora la mano incrociando le dita come un adolescente innamorato.
Da qualche mese Daniela non riesce più a camminare perchè il dolore è così lancinante che si insinua come un coltello affilato dall'inguine alla caviglia. Stando immobile passa. Sulla sedia a rotelle passa. Ma questa disabilità, la più visibile tra tutte, è la più difficile da accettare. E' come cadere in un abisso cocente mi dice. E' una disabilità che ti spacca in due e ti uccide prima della malattia.
Non un sacchetto di feci nè un pannolone di urina hanno fermato la determinazione di Daniela. Lei, che anche sul letto d'ospedale continua a truccarsi le labbra e gli occhi, a mettere lo smalto alle unghie e a pettinarsi bene mi ha insegnato che non siamo solo creature fatte di polvere.
Come stamattina, quando sono andata a trovarla nella sua camera poco prima che scendesse in sala operatoria.
Si preoccupava dei capelli la mia paziente, del colore pallido in un viso asciutto, di non essere presentabile. E' un appiglio alla vita, l'unico che le è rimasto mi ha detto, e che lei vorrebbe far vorticare nell'aria, trasmettendolo a tutte le donne malate come lei.
Le ho promesso che lo avrei scritto.
Una stomia intestinale, due reni che non funzionano, un cancro dell'ano, la chemioterapia, la radioterapia e la vescica bruciata, l'incontinenza ed ora due macchie sul polmone. Cateteri, sacchetti e drenaggi. Ma quella sedia laggiù, quella nera, col cuscino anti decubito azzurro cielo e due ruote gigantesche in acciaio cromato, proprio no. Si, quella sedia con il doppio freno e la manopola per avanzare senza sporcarsi, lo schienale imbottito e le tasche portatutto laterali. Daniela non la vuole neanche vedere la sedia a rotelle. Lei, che instancabile faceva le pulizie anche col febbrone e il vomito, ha sempre combattuto il male affrontandolo di petto, smontandolo pezzo dopo pezzo. Nessuna lamentela, nessun cedimento, solo tanta voglia di farcela. Sempre alla ricerca di idee misteriose da contemplare prima di farle sue.
E' la gamba sinistra a non reggere più in piedi Daniela. Donna di tutto punto. Signora raffinata della Montebelluna bene, trevigiana innamorata del suo paese e di suo marito, tanto. Come lui di lei, che non si separa mai dalla sua vicinanza e le tiene ancora la mano incrociando le dita come un adolescente innamorato.
Da qualche mese Daniela non riesce più a camminare perchè il dolore è così lancinante che si insinua come un coltello affilato dall'inguine alla caviglia. Stando immobile passa. Sulla sedia a rotelle passa. Ma questa disabilità, la più visibile tra tutte, è la più difficile da accettare. E' come cadere in un abisso cocente mi dice. E' una disabilità che ti spacca in due e ti uccide prima della malattia.
Non un sacchetto di feci nè un pannolone di urina hanno fermato la determinazione di Daniela. Lei, che anche sul letto d'ospedale continua a truccarsi le labbra e gli occhi, a mettere lo smalto alle unghie e a pettinarsi bene mi ha insegnato che non siamo solo creature fatte di polvere.
Come stamattina, quando sono andata a trovarla nella sua camera poco prima che scendesse in sala operatoria.
Si preoccupava dei capelli la mia paziente, del colore pallido in un viso asciutto, di non essere presentabile. E' un appiglio alla vita, l'unico che le è rimasto mi ha detto, e che lei vorrebbe far vorticare nell'aria, trasmettendolo a tutte le donne malate come lei.
Le ho promesso che lo avrei scritto.