Ho diritto alla vita

Ringrazio Francesca per avermi consentito di scrivere la sua storia

E' un fagottino di due chiletti e mezzo questo scricciolino. Sulla carrozzina imbottita, le spondine la proteggono come se fosse ancora nel grembo della mamma. E' rannicchiata a pancia in giù, con le gambette piegate come una ranocchia.
Nel risvolto, sul lenzuolino, tre orsetti ricamati a punto croce con il filo rosa, mi ricordano la mia gravidanza, quando ricamavo corredini e bavagli, babucce e asciugamani.
La madre di questa scricciola è venuta a trovarmi in ambulatorio quasi una volta al mese durante la gravidanza. Voleva dei consigli per il suo pavimento pelvico. Aveva paura di partorire la bambina per via naturale perchè temeva qualche disfunzione.
Il parto è andato bene, mi racconta. In due ore, Alice era nata. Nessuna lacerazione, nessun punto di sutura, nessuna incontinenza nè altra disfunzione.
Mamma Francesca ha trentanove anni, una zazzera di capelli ricci color rame, e sprizza simpatia da tutti i pori.  Questa bambina è arrivata dopo aver perso tutte le speranze. Tentativi, cure ormonali, due interventi in laparoscopia hanno caratterizzato la sua vita e  quella di suo marito per anni. Mi raccontava, quando è rimasta incinta, che la sera che hanno fatto l'amore, secondo i suoi "conteggi", aveva sentito dentro di lei che poteva essere la volta giusta. Ne era sicura. Mentre suo marito la abbracciava forte, lei posava la testa sotto alla sua spalla e insieme fissavano un quadro alla parete. Era una serigrafia di un quadro di Cezanne, in cui gli alberi si ergevano sui fianchi delle colline con una siluette tutta femminile. La metafora era davanti ai loro occhi. Mi racconta che c'era una strana atmosfera morbida e  vaporosa in quella stanza quella sera e la luce dell'abat jour era debole. La luce forte scolora i toni dice Francesca, che per passione dipinge quadri. In quel momento lei aveva esclamato: "me lo sento, me lo sento", ripetutamente. "Me lo sento Massimo, me lo sento che è la volta giusta". Quasi respirando superficialmente Francesca ripeteva a se stessa che sarebbe rimasta incinta. Quella volta. "Ti amo", le sussurrava suo marito all'orecchio. E lei si sentiva davvero pronta.
"Ti-amo". Due parole hanno il potere sconvolgente di mettere sottosopra una vita, caricandola di significato. "Se non mi amasse così tanto, non avremmo fatto tutti questi tentativi", aggiunge.
Quando la bimba inizia a piangere, Francesca si avvicina premurosa per prenderla in braccio. Un ricciolo di capelli le cade sulla fronte fino a coprirle un occhio e lei lo soffia su con il labbro proteso. Ed è in quel preciso istante che i miei piedi diventano di piombo. Sto per fare un'esclamazione di gioia ma le parole rimangono imprigionate a mezz'aria. I contorni della bambina diventano liquidi. Mi sembra di avere la testa piena di spessi strati di lana.
La bambina e' Down. E' Down per me e per il mondo fuori, ma non per Francesca. La sua bambina non è diversa dalle altre e lei l'ha cercata, l'ha desiderata, l'ha voluta, anche così, con la presenza di una terza copia del cromosoma 21.
La piccolina si stira, stropicciandosi gli occhi e smette di piangere.
"Non ho fatto nessun esame nè test in gravidanza", mi dice Francesca con una lacrima che le riga il volto. "Alice è un dono regalatoci dalla vita".
E' con stordente profondità che le parole della mamma schiacciano ogni pregiudizio. Collocano la compassione in un piano ben distinto, più lontano, distaccato da noi che guardiamo da fuori. Limano i sensi di colpa (miei, perchè non l'ho convinta a fare l'amniocentesi come le suggeriva la ginecologa). Ma appunto, miei.
Francesca è felice e sostiene il diritto alla vita di ogni essere umano. Diritto senza tentennamenti, che superi la cultura dello scarto e dell'egoismo. Che superi il pregiudizio e le difficoltà. Che superi la discriminazione.

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