ACCETTARE DI ESSERE MALATI DI CANCRO
Non si parla di una
banale influenza o di dover affrontare un’appendicectomia, si tratta di dover
combattere una malattia che nel pensiero collettivo è molto spesso associata alla morte.
In realtà, anche se le
statistiche mediche dicono che vi è un aumento globale della sopravvivenza a 5
anni e una remissione della malattia dopo i 10 anni (dati ISTAT 2015), quando
si riceve una diagnosi di cancro si raggela, il futuro non esiste più. Per affrontare
l’intervento chirurgico, la chemioterapia e la radioterapia è necessaria la
capacità di resilienza.
Si, il percorso è lungo,
ci sono spesso effetti collaterali invalidanti e quando si finisce, talvolta
non ci si sente guariti. Perché? I controlli medici a cui si viene sottoposti
ad intervalli di tempo più brevi all’inizio, e poi man mano più lunghi ci
dicono che non si è guariti, si è ancora malati, anche se la malattia è tenuta sotto
controllo. Ma la nostra mente sembra biologicamente predisposta a pensare
negativamente anche quando la malattia sta regredendo e c’è spazio per pensare
positivamente. Ancora più faticoso per molti, è accettare la malattia e le sue
conseguenze quando rimane un segno nel corpo, come nel caso della mutilazione
di un seno o della presenza di una stomia nell’addome. In quest’ultimo caso è
richiesto uno sforzo notevole alla persona; le feci e le urine devono essere
controllate e gestite manualmente, si rischia realmente di sporcarsi le mani
per pulirsi, soprattutto all’inizio, e fino a quando non si è imparato a
conoscerla. Si rischia di rifiutare quel sacchetto e tutte le persone che hanno
contribuito a confezionarlo.
In che modo accettare la
stomia? Prendendosi cura di lei anche con grande timore, facendosi aiutare
all’inizio da una persona di cui ci si fida. Iniziare ad informarsi su cosa si
può fare e non fare con la stomia, non temere di parlare dei propri dubbi,
delle proprie difficoltà nella vita quotidiana e poi provare a sperimentarsi.
Ridere degli insuccessi pensando che nulla è irreparabile, pensare che può solo
andare meglio riprovandoci.
A parole tutto sembra
semplice ma così non è, almeno non per tutti. La persona va rispettata e
accompagnata a comprendere il dolore, le angosce che la pervadono e che non le
permettono di guardarsi. Lo psicologo può aiutare in questo. Deve accogliere la
sofferenza di chi sta di fronte a lui e guidarlo a riscoprirsi persona viva,
autentica, che pur nella attuale situazione di difficoltà, possiede un valore
non quantificabile, l’amore per la vita.
Insieme si può.
Caterina Bertelli
Psicologa