Voci invisibili come il vento, in una straordinaria corsia
Sedeva rannicchiato di fronte alla colonna del porticato, laggiù davanti ad una delle boutique più grandi del centro.
Castelfranco alle sette e mezza di sera brulicava di persone in tutte le direzioni. I negozi si stavano svuotando e la gente con buste di carta e plastica per gli acquisti appena compiuti, camminava spedita per il freddo gelido.
Indossava tre grossi giubbottoni e un paio di guanti scuciti. I pantaloni erano di freddo jeans e un paio occhiali gli cadeva sulla punta del naso, già bluastra.
Era il solito clochard che incontro tutte le mattine fuori dall'ospedale, seduto sulla scalinata della vecchia entrata, con un bicchiere di plastica in mano, per chiedere l'elemosina.
Aveva gli occhi piccoli piccoli "il mio amico". Tondi e attoniti sul volto pallido reso arguto dal naso aquilino e prominente. Le labbra screpolate dal freddo non gli impedivano di sorridere. Il labbro inferiore era sporgente tanto da nascondere il mento piccolo e stretto. Me lo regalò ampio e sentito un suo sorriso che stirò perfino le rughe sulla fronte. Ieri sera mi pareva ancora più invecchiato, più stempiato e imbolsito. La pelle del suo volto era coperta di lentiggini che facevano pensare ad una spruzzata di pepe sulla purea di patate. Si cingeva le ginocchia con le braccia
Avrà poco più di cinquant'anni quel povero uomo. Mai un'insistenza. Lui i dipendenti ospedalieri li conosce tutti. Li aspetta là fuori, tutti i santi giorni, per pochi spiccioli chissà, se per un pò di vino dal sapore cartonato o per un caldo panino.
Quanto sarebbe bello che ci fosse un posto per ogni cosa e che ogni cosa fosse al suo posto.
"Ciao doctoressa", mi dsse.
Guardarlo dall'alto lo faceva sembrare ancora più piccolo.
Mi chinai di fronte a lui, per guardarlo negli occhi e capire meglio ciò che mi stava dicendo. Appoggiai le borse dello shopping appena dietro di me. Quasi mi vergognavo di aver speso tutti quei soldi in un pomeriggio intero.
"Sto male tucte le matine. Solo la matina. Io alzare e vomitare, alzare e vomitare. Solo matina. E cacare, scusa parola doctoressa, cacare sangue".
Rimasi senza parole.
Era la prima volta che un clochard mi fermava per strada sotto al gelido porticato del Corso XXIX Aprile per chiedermi assistenza sanitaria.
Scorreva ripetutamente i palmi guantati sui jeans. Forse per scaldare le mani, forse per l'imbarazzo, o forse semplicemente per la paura di morire.
Ed è sempre alla sera che spesso, sopraggiunge la paura della morte, perchè legata a quella "morte temporanea" intesa come assenza di sè, che è il sonno.
Non smettevo di ascoltarlo pur nella morsa del freddo. Mia figlia, accanto a me, batteva i denti, ma non mi incitava ad andare via. Anche lei lo ascoltava basita.
L'ho invitato a recarsi in ospedale, l'indomani mattina, se fosse stato male male, spiegandogli che se non è un cittadino regolare, può richiedere il tesserino recante il codice STP (straniero temporaneamente presente), al pronto soccorso. Nessuno lo avrebbe denunciato.
La frase gli rimbalzò dentro ...Non credo avesse capito. La mia voce sembrava invisibile, come il vento. Ne percepisci la presenza solo perchè ti scompiglia i capelli o muove le foglie degli alberi. E lui mi ascoltava solo perchè ero là davanti a lui, a sforzarmi di capire le sue richieste.
Mi guardava con gli occhi sbarrati sbattendo di tanto in tanto le palpebre, per scongelare gli occhi. La penombra dei negozi che stavano per chiudere ammantava ogni cosa colorando di tristezza quell'angolo. Il tremito delle mie dita mi fece decidere di andare via.
Raccolsi le buste degli acquisti e presi mia figlia sottobraccio.
Quanta ingiustizia.
Castelfranco alle sette e mezza di sera brulicava di persone in tutte le direzioni. I negozi si stavano svuotando e la gente con buste di carta e plastica per gli acquisti appena compiuti, camminava spedita per il freddo gelido.
Indossava tre grossi giubbottoni e un paio di guanti scuciti. I pantaloni erano di freddo jeans e un paio occhiali gli cadeva sulla punta del naso, già bluastra.
Era il solito clochard che incontro tutte le mattine fuori dall'ospedale, seduto sulla scalinata della vecchia entrata, con un bicchiere di plastica in mano, per chiedere l'elemosina.
Aveva gli occhi piccoli piccoli "il mio amico". Tondi e attoniti sul volto pallido reso arguto dal naso aquilino e prominente. Le labbra screpolate dal freddo non gli impedivano di sorridere. Il labbro inferiore era sporgente tanto da nascondere il mento piccolo e stretto. Me lo regalò ampio e sentito un suo sorriso che stirò perfino le rughe sulla fronte. Ieri sera mi pareva ancora più invecchiato, più stempiato e imbolsito. La pelle del suo volto era coperta di lentiggini che facevano pensare ad una spruzzata di pepe sulla purea di patate. Si cingeva le ginocchia con le braccia
Avrà poco più di cinquant'anni quel povero uomo. Mai un'insistenza. Lui i dipendenti ospedalieri li conosce tutti. Li aspetta là fuori, tutti i santi giorni, per pochi spiccioli chissà, se per un pò di vino dal sapore cartonato o per un caldo panino.
Quanto sarebbe bello che ci fosse un posto per ogni cosa e che ogni cosa fosse al suo posto.
"Ciao doctoressa", mi dsse.
Guardarlo dall'alto lo faceva sembrare ancora più piccolo.
Mi chinai di fronte a lui, per guardarlo negli occhi e capire meglio ciò che mi stava dicendo. Appoggiai le borse dello shopping appena dietro di me. Quasi mi vergognavo di aver speso tutti quei soldi in un pomeriggio intero.
"Sto male tucte le matine. Solo la matina. Io alzare e vomitare, alzare e vomitare. Solo matina. E cacare, scusa parola doctoressa, cacare sangue".
Rimasi senza parole.
Era la prima volta che un clochard mi fermava per strada sotto al gelido porticato del Corso XXIX Aprile per chiedermi assistenza sanitaria.
Scorreva ripetutamente i palmi guantati sui jeans. Forse per scaldare le mani, forse per l'imbarazzo, o forse semplicemente per la paura di morire.
Ed è sempre alla sera che spesso, sopraggiunge la paura della morte, perchè legata a quella "morte temporanea" intesa come assenza di sè, che è il sonno.
Non smettevo di ascoltarlo pur nella morsa del freddo. Mia figlia, accanto a me, batteva i denti, ma non mi incitava ad andare via. Anche lei lo ascoltava basita.
L'ho invitato a recarsi in ospedale, l'indomani mattina, se fosse stato male male, spiegandogli che se non è un cittadino regolare, può richiedere il tesserino recante il codice STP (straniero temporaneamente presente), al pronto soccorso. Nessuno lo avrebbe denunciato.
La frase gli rimbalzò dentro ...Non credo avesse capito. La mia voce sembrava invisibile, come il vento. Ne percepisci la presenza solo perchè ti scompiglia i capelli o muove le foglie degli alberi. E lui mi ascoltava solo perchè ero là davanti a lui, a sforzarmi di capire le sue richieste.
Mi guardava con gli occhi sbarrati sbattendo di tanto in tanto le palpebre, per scongelare gli occhi. La penombra dei negozi che stavano per chiudere ammantava ogni cosa colorando di tristezza quell'angolo. Il tremito delle mie dita mi fece decidere di andare via.
Raccolsi le buste degli acquisti e presi mia figlia sottobraccio.
Quanta ingiustizia.