Verdetto
Ringrazio la mia paziente per avermi consentito di raccontare la sua storia
Ha gli occhi asciutti, fissi davanti a sè. L'emozione è così intensa, vivida, da levarle il fiato.
Ha aspettato questo giorno con strascichi di sorrisi dimenticati, sopracciglia aggrottate, tante paure.
Non avrebbe mai immaginato di riuscire a farcela, eppure oggi è qui, in forma, avida di dettagli e risposte già anticipate ma non ancora ufficializzate.
Si abbraccia il busto, inclina la testa sulla spalla. E' irrequieta la mia paziente. E' in attesa di un verdetto.
La chemioterapia può aver dato i suoi effetti, ridotto le metastasi al fegato e quelle ai polmoni oppure no. La chemioterapia potrebbe aver solamente distrutto tutto il buono che c'era, tranne la bestia.
Lei è pronta a tutto, ma non ad essere consolata da dolci menzogne. Quelle no, alimenterebbero le illusioni.
Pensa a tutti i cicli subiti. Goccia a goccia, flebo dopo flebo. E alle notti insonni, alla stanchezza impossibile, alla nausea. Pensa alla sincerità del suo specchio e a quella maledetta bilancia nel bagno. Mai un giorno che segnasse un grammo più del giorno prima.
Pensa ai capelli sul cuscino e a tutte le volte che si è accarezzata la parrucca, con un filo di lacca per non far volare i ciuffi ribelli.
Ha atteso questo giorno del verdetto per otto mesi con un grandissimo desiderio. Riuscire a ridere per niente e a gioire per tutto, da oggi, come quando era bambina.
Eccolo il medico.
Quindici lunghissimi eterni minuti.
Bianca.
La mia paziente esce bianca come il latte dallo studio dell'oncologo, sorretta dal marito, con gli occhi puntati a terra.
Io gelo.
Sono seduta sulle poltroncine della sala d'attesa. Casualmente mi trovo qua per parlare con un'altra paziente.
Con umiltà, senza eccessi e con un velo di incredulità alza lo sguardo e mi dice: "tutto bene, la malattia è regredita".
I miei occhi annacquati non nascondono la sensazione di terrorizzante felicità che mi si agita nel cuore, mentre lei, con semplicità e umiltà indescrivibili, mi abbraccia. Ma è un abbraccio pieno, avvolgente, che profuma di libertà.
Gioisce ma non si illude la mia paziente. Nemmeno dopo una notizia così bella. Non è surreale la sua vita e lei guarda ancora più in alto, alla guarigione completa.
Mai avrei pensato che il dolore potesse avere radici così radicate e inestirpabili.
Ha gli occhi asciutti, fissi davanti a sè. L'emozione è così intensa, vivida, da levarle il fiato.
Ha aspettato questo giorno con strascichi di sorrisi dimenticati, sopracciglia aggrottate, tante paure.
Non avrebbe mai immaginato di riuscire a farcela, eppure oggi è qui, in forma, avida di dettagli e risposte già anticipate ma non ancora ufficializzate.
Si abbraccia il busto, inclina la testa sulla spalla. E' irrequieta la mia paziente. E' in attesa di un verdetto.
La chemioterapia può aver dato i suoi effetti, ridotto le metastasi al fegato e quelle ai polmoni oppure no. La chemioterapia potrebbe aver solamente distrutto tutto il buono che c'era, tranne la bestia.
Lei è pronta a tutto, ma non ad essere consolata da dolci menzogne. Quelle no, alimenterebbero le illusioni.
Pensa a tutti i cicli subiti. Goccia a goccia, flebo dopo flebo. E alle notti insonni, alla stanchezza impossibile, alla nausea. Pensa alla sincerità del suo specchio e a quella maledetta bilancia nel bagno. Mai un giorno che segnasse un grammo più del giorno prima.
Pensa ai capelli sul cuscino e a tutte le volte che si è accarezzata la parrucca, con un filo di lacca per non far volare i ciuffi ribelli.
Ha atteso questo giorno del verdetto per otto mesi con un grandissimo desiderio. Riuscire a ridere per niente e a gioire per tutto, da oggi, come quando era bambina.
Eccolo il medico.
Quindici lunghissimi eterni minuti.
Bianca.
La mia paziente esce bianca come il latte dallo studio dell'oncologo, sorretta dal marito, con gli occhi puntati a terra.
Io gelo.
Sono seduta sulle poltroncine della sala d'attesa. Casualmente mi trovo qua per parlare con un'altra paziente.
Con umiltà, senza eccessi e con un velo di incredulità alza lo sguardo e mi dice: "tutto bene, la malattia è regredita".
I miei occhi annacquati non nascondono la sensazione di terrorizzante felicità che mi si agita nel cuore, mentre lei, con semplicità e umiltà indescrivibili, mi abbraccia. Ma è un abbraccio pieno, avvolgente, che profuma di libertà.
Gioisce ma non si illude la mia paziente. Nemmeno dopo una notizia così bella. Non è surreale la sua vita e lei guarda ancora più in alto, alla guarigione completa.
Mai avrei pensato che il dolore potesse avere radici così radicate e inestirpabili.