Se tocca a tuo figlio

Dai suoi centonovanta centimetri di altezza, poco prima di stendersi, mi guarda con occhi piu scuri della pece, ma brillanti. Un puntino centrale, sull'iride intenso, emana tutta l'emozione che solo una madre può capire. Ha un faccino pallido, reso arguto dal naso dritto e prominente tra due occhi ora attoniti e tondi. Sono quelli di un sedicenne, dal sorriso sincero ma impaurito dal dolore.
Quando tocca a tuo figlio varcare quella porta in un lettino d'ospedale, anche il sangue può gelare nelle vene. E per quanto semplice possa sembrare ai giorni nostri un'anestesia generale agli occhi di un chirurgo o di una infermiera, non lo è affatto se quello sotto ai ferri e' tuo figlio. E non lo è affatto se sei tu quella infermiera.
Ti sembrava ieri che lo allattavi al seno baciandogli la fronte dolcemente, con le labbra umide. Gli sfioravi le guance con le dita a rovescio, come il velluto lo accarezzavi. E ti sembrava ieri quando lui cercava la tua mano per non cadere. Anche oggi è così. Uguale. Nei tempi, nei modi, nella dolcezza che attraversa quei gesti. Anche oggi ti avvicini piano e gli baci la fronte prima che l'anestetico faccia il suo effetto addormentandolo. E anche oggi, gli porgi la tua mano. Sei la' con lui.
Attendi.
Minuti.
Ore.
Fuori della sala operatoria i rumori sono attutiti e i colori sbiaditi. Anche i muri ti sembrano pallidi.
Trascorrono duecentoquaranta minuti e ti sembra siano rotolate ore incessanti. Quattro.
Lo immagini intubato tuo figlio, con il braccio teso, legato per le flebo, le palpebre abbassate con un pezzo di scotch. Ma hai deciso di fare la mamma e non l'infermiera oggi. Stai fuori in ansia, come tutti quelli che sono stati seduti su quella poltroncina amaranto in sala d'attesa prima di te. E come tutti, cammini avanti e indietro, sfogli un giornale senza leggere una parola, scrivi qualche messaggio sul telefonino, per essere connessa con il mondo fuori, che sta bene. Poi ti lisci le pieghe della gonna, passi le mani tra i capelli, picchietti le labbra con la punta delle dita. E fissi quella porta.
Lo immagini coperto, con un telo verde e la cuffia in testa. Sai esattamente com'è.
Si sveglierà? Respirerà ? Soffrirà?

Smettila, le conosci le risposte. Sai che andrà tutto bene e che la vita ti sottoporrà ad altre dure prove. E domani, a lavoro, capirai ancora meglio il significato dell'attesa. Si, fuori di una sala operatoria, dove conoscevi ogni passaggio fino a ieri, fuorché cosa significa sentire l'aria incastrata in pochi metri quadri, che non entra nei polmoni, che ti fa battere il cuore e cercare di immaginare quel secco cozzare di ceramiche e quel clangore dei vassoi che rende protagonista tuo figlio di furiose litigate con te. Quando la sera con gli amici in casa tenta di riordinare bicchieri e stoviglie a comando. Perché si sa, gli adolescenti fanno un casino terrificante in compagnia. E tu lo vorrai ancora sentire. Certo che lo vorrai quel casino.

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