Nonna, mamma, imprenditrice di successo in corsia

Dedicato a tutte le volontarie ospedaliere

Se vedi una donna di classe, elegante, dai capelli biondo miele, sciolti sulle spalle o legati a coda di cavallo, presentare un evento di grande spessore culturale e artistico quale è la cultura del vino made in Italy, puoi sperare di vederla. Lei, amica carissima, meravigliosa icona dal bon ton ineccepibile non passa inosservata. Eppure mai ti immagineresti di trovarla in corsia, in camice bianco, a dispensare sorrisi, conforto e parole che curano, ai poveri ammalati ricoverati. Già, perché a fare del bene c'è davvero spazio per tutti. Allora via le ampollose vesti e le sciocche manie, come lei stessa le definisce, via i "trastullanti" e banali pensieri, via mondanità e successi e largo alle sensazioni fatte di istinto ed emozioni, di un nuovo mondo superiore e decifrabile solo quando ci stai dentro. Quello della corsia. Quello del contatto con la sofferenza.
Quando la vita ti ha regalato fortuna e salute, denaro e amore, si ha molto da donare.
Le volontarie ospedaliere di oggi, in questa stanza, hanno sguardi pazienti, si concentrano su quelle strane vibrazioni che il contatto con i malati trasmette loro. Con le braccia allargate e nessun pensiero in testa, hanno una parola giusta nella loro scatola magica. La mia amica, timida e schiva nel suo primo giorno da volontaria, con un filo di eccitazione ha  un tono di voce curioso e dolce, i palmi delle mani protesi verso il paziente, per accogliere i suoi, in segno di fratellanza. Anche il tramonto cade sul letto infuocando le lenzuola oltre che i nostri cuori. Ci sono emozione, e conforto, paure dilatate, nessuna invidia. Loro, le volontarie, stanno bene e vogliono far stare bene.
Qualcuna racconta del suo paese, e si scopre che il mondo è talmente piccolo che ci si conosce tutti. Qualcun'altra inforca gli occhiali e legge il titolo di un libro scovato nel comodino di un  altro paziente. Qualcuna invece, reduce da dolore e malattie, stabilisce un contatto empatico. E c'è chi, come la mia amica, lascia vagare lo sguardo fino a colpire gli occhi di chi, su un letto bianco ci deve stare settimane o mesi. Le volontarie custodiscono segreti, fondono pensieri contrastanti, battono le palpebre per abituare gli occhi a vedere la sofferenza. 
Con le loro risate lievi, soffiano la felicità nelle stanze, solleticano con gesti umili e sinceri, gentili.
E con la voce morbida come il velluto, ringraziano. 
Ringraziano per la lezione alla quale assistono ogni giorno, con orgoglio e compiacimento si arricchiscono, liberandosi del brusio minaccioso dell'egoismo e dell'ipocrisia del mondo fuori.

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