Se potessi sollevare il mondo dal dolore...
Oggi, 29 Maggio 2016, è la giornata del sollievo dal dolore.
Dovrebbe essere la mia giornata, il mio spiraglio di gioia, invece il dolore oggi è come quello di ieri, che è quello di sempre, se non peggio.
Vivo con un impianto di morfina in pompa da anni, dalla quale sono ormai assuefatta. La mia malattia cronica mi costringe a rimanere sempre a casa, al massimo esco in giardino, che ho fatto trasformare in oasi naturale, vista la fortuna di abitare in aperta campagna. In primavera, il lento movimento delle piante, fisse nelle loro radici è ipnotico. Il sussurro del vento tra gli alberi, si perde tra il suono del cinguettio degli uccelli. I fiori hanno il loro linguaggio e il loro profumo mi riempie di gioia.
Le oscillazioni dell'automobile invece, mi causano la nausea. Girare in sedia a rotelle, seppur elettrica, anche. Devo stare ferma, immobilizzata in questo corpo in cui la vita ha colato cemento armato. Penso. Leggo. Scrivere mi è impossibile. Muovere braccia e mani mi crea un dolore lancinante al collo. Lascio che il filo dei ricordi si sfilacci facendomi dimenticare la donna felice che sono stata.
Sono una donna sbiadita, in queste condizioni da vent'anni, dopo un intervento alla colonna vertebrale per un'ernia del disco protrusa e fuoriuscita che mi paralizzò istantaneamente. L'intervento delicatissimo durò undici ore e non ho mai più camminato. Ho subito poi altri quindici interventi senza risultato. Sono incontinente all'urina. Mio marito mi cambia il pannolone tre, quattro volte al giorno . Ho una stomia intestinale per le feci. Per fortuna che esiste questo miracolo. Potessi avere anche un sacchetto per l'urina, sarei la donna più felice del mondo.
Provo dolori lancinanti alla bocca dello stomaco, alla pancia, alla schiena, al petto, alle gambe. Il dolore è penetrante, incessante,
Mio marito mi lava e mi consola ogni santo giorno. Cucina per me, mi mette a letto, mi veste. Non che io non riesca. Le braccia le muovo. Ma questo è il suo modo per sollevarmi dal dolore. I farmaci non fanno più nulla. Il suo è vero amore, vera cura. Mi dipinge i capelli di giallo. Una tinta che tenta di perpetuare il biondo della giovinezza. Mi fissa ancora negli occhi. Due lucenti occhi azzurrissimi conficcati tra le rughe del volto, dice lui.
Qualche settimana fa sono venute due signore del comune. Hanno portato in casa uno stucchevole ottimismo. Sono state a farmi compagnia, hanno preparato il caffè e mi hanno raccontato storie divertenti. Non ridevo così da secoli. Un risata giubilante, così in contrasto con il pallore del mio volto. La mia voce era briosa, festante. L'esistenza umana è piena di formidabili sorprese. Per un'ora non ho pensato al dolore, anche se se ne stava là, dentro alle mie ossa, in ogni centimetro del mio corpo. La sera, si è fatto però insopportabile. Era la mia rabbia esplosiva. Nel mio petto massiccio risuonava un ringhio sordo. Ho pianto soffocando il grido sul cuscino mentre mio marito mi accarezzava la testa.
In questa giornata di sollievo dal dolore, dedico il mio grido a chi inveisce contro il prossimo per un banale graffio sulla carrozzeria dell'auto nuova; a chi si lamenta di non farcela a lavorare otto ore al giorno in piedi; a chi non si accetta fisicamente e ricorre alla chirurgia estetica. Grido contro chi si alletta per un dolore mestruale o contro chi passa la notte in bianco per essersi abbuffato la sera prima di cibo. E grido anche contro chi trascura derelitte fioriere inzaccherate.
Non auguro a nessuno il mio dolore.
Ho solo sessant'anni, e scusate se vorrei viverne almeno altri dieci, quindici. Ormai il dolore mi ha reso così forte che potrei resistere a tutto. Ma se dovessi perdere le mie uniche forze, la forza della natura della mia oasi e mio marito, vi prego, seppellitemi subito. Perchè se potessi sollevare il mondo dal dolore, consiglierei a tutti di cercare l'amore vero intorno a sè, e di godere delle bellezze che solo la natura sa donarci.
Dovrebbe essere la mia giornata, il mio spiraglio di gioia, invece il dolore oggi è come quello di ieri, che è quello di sempre, se non peggio.
Vivo con un impianto di morfina in pompa da anni, dalla quale sono ormai assuefatta. La mia malattia cronica mi costringe a rimanere sempre a casa, al massimo esco in giardino, che ho fatto trasformare in oasi naturale, vista la fortuna di abitare in aperta campagna. In primavera, il lento movimento delle piante, fisse nelle loro radici è ipnotico. Il sussurro del vento tra gli alberi, si perde tra il suono del cinguettio degli uccelli. I fiori hanno il loro linguaggio e il loro profumo mi riempie di gioia.
Le oscillazioni dell'automobile invece, mi causano la nausea. Girare in sedia a rotelle, seppur elettrica, anche. Devo stare ferma, immobilizzata in questo corpo in cui la vita ha colato cemento armato. Penso. Leggo. Scrivere mi è impossibile. Muovere braccia e mani mi crea un dolore lancinante al collo. Lascio che il filo dei ricordi si sfilacci facendomi dimenticare la donna felice che sono stata.
Sono una donna sbiadita, in queste condizioni da vent'anni, dopo un intervento alla colonna vertebrale per un'ernia del disco protrusa e fuoriuscita che mi paralizzò istantaneamente. L'intervento delicatissimo durò undici ore e non ho mai più camminato. Ho subito poi altri quindici interventi senza risultato. Sono incontinente all'urina. Mio marito mi cambia il pannolone tre, quattro volte al giorno . Ho una stomia intestinale per le feci. Per fortuna che esiste questo miracolo. Potessi avere anche un sacchetto per l'urina, sarei la donna più felice del mondo.
Provo dolori lancinanti alla bocca dello stomaco, alla pancia, alla schiena, al petto, alle gambe. Il dolore è penetrante, incessante,
Mio marito mi lava e mi consola ogni santo giorno. Cucina per me, mi mette a letto, mi veste. Non che io non riesca. Le braccia le muovo. Ma questo è il suo modo per sollevarmi dal dolore. I farmaci non fanno più nulla. Il suo è vero amore, vera cura. Mi dipinge i capelli di giallo. Una tinta che tenta di perpetuare il biondo della giovinezza. Mi fissa ancora negli occhi. Due lucenti occhi azzurrissimi conficcati tra le rughe del volto, dice lui.
Qualche settimana fa sono venute due signore del comune. Hanno portato in casa uno stucchevole ottimismo. Sono state a farmi compagnia, hanno preparato il caffè e mi hanno raccontato storie divertenti. Non ridevo così da secoli. Un risata giubilante, così in contrasto con il pallore del mio volto. La mia voce era briosa, festante. L'esistenza umana è piena di formidabili sorprese. Per un'ora non ho pensato al dolore, anche se se ne stava là, dentro alle mie ossa, in ogni centimetro del mio corpo. La sera, si è fatto però insopportabile. Era la mia rabbia esplosiva. Nel mio petto massiccio risuonava un ringhio sordo. Ho pianto soffocando il grido sul cuscino mentre mio marito mi accarezzava la testa.
In questa giornata di sollievo dal dolore, dedico il mio grido a chi inveisce contro il prossimo per un banale graffio sulla carrozzeria dell'auto nuova; a chi si lamenta di non farcela a lavorare otto ore al giorno in piedi; a chi non si accetta fisicamente e ricorre alla chirurgia estetica. Grido contro chi si alletta per un dolore mestruale o contro chi passa la notte in bianco per essersi abbuffato la sera prima di cibo. E grido anche contro chi trascura derelitte fioriere inzaccherate.
Non auguro a nessuno il mio dolore.
Ho solo sessant'anni, e scusate se vorrei viverne almeno altri dieci, quindici. Ormai il dolore mi ha reso così forte che potrei resistere a tutto. Ma se dovessi perdere le mie uniche forze, la forza della natura della mia oasi e mio marito, vi prego, seppellitemi subito. Perchè se potessi sollevare il mondo dal dolore, consiglierei a tutti di cercare l'amore vero intorno a sè, e di godere delle bellezze che solo la natura sa donarci.