Un uovo ricco di significato

(Tratto da una storia vera. Ringrazio la figlia del mio paziente per avermi consentito di scriverla) 

Teneva l'uovo di Pasqua in equilibrio sul comodino, tra la bottiglia d'acqua e una pila di quotidiani. Di fronte, un vasetto d'acqua conteneva un insolito rametto di rosmarino finemente aromatico e delicato e uno di ulivo benedetto.
La carta metallizzata ci accecava ogni volta che entravamo nella stanza. Faceva da scudo ai raggi del sole proiettandone i riflessi all'ingresso.
Non aveva intenzione di mangiarlo. O almeno non da ricoverato. Il mio paziente non avrebbe potuto nelle sue condizioni. Tuttavia, a chi si incantava a guardarlo, diceva che una volta dimesso, avrebbe dato una grande festa a casa sua, e avrebbe regalato uova a tutti. Di quelle vere però, che di galline da uova ne aveva una cinquantina.
L'uovo di cioccolato era alto trenta centimetri. Lo teneva lì, per sentirsi parte di un mondo che fuori scorreva senza di lui, verso la Pasqua, ma dentro a quelle mura era immobile con lui, come uno spesso strato di asfalto. La descriveva così la sua vita il mio paziente, manutentore delle strade su cui noi tutti corriamo, meno che lui, ora.
Leggeva tutti i giorni un quotidiano locale. Aveva la fissa per i necrologi, come se, per sentirsi meno sfortunato, la conoscenza della morte di qualcuno e non della sua, gli desse un soffio di speranza.
Da venerdì scorso, respirava a stento, in mano reggeva stretta la corona per la preghiera e diceva ripetutamente a tutti di non essere pronto, di voler stare ancora in questa terra, di non voler morire.
Non si poteva essere immuni dal suo struggimento. Si entrava nella sua stanza carichi di finti sorrisi da donare e se ne usciva devastati. Svuotati dalle certezze e consci della fragilità della vita umana.
Poi, incredibilmente, qualche giorno fa, gli esami del sangue mostravano miracolosamente un miglioramento. Anche le sue condizioni sembravano stabilizzarsi nella normalità. Tutti eravamo increduli. Tuttavia la debolezza nel reggersi in piedi, gli impediva ogni azione nello spazio. L'ho accompagnato in bagno io stessa una mattina, era avvinghiato al mio braccio ma  mi guardava con una luce nuova negli occhi. Anch'io ero felice di vederlo meglio. Sarebbe stato ricoverato per sicurezza ancora qualche giorno.
Ci raccontava del suo lavoro come se fosse il miglior ingegnere civile a parlarne e non uno stradino dalla pelle di tartaruga. Si rimaneva a bocca aperta. Sapeva farci cogliere sfumature positive di un lavoro durissimo e umile, e particolari mai considerati come il profumo di petrolio, l'odore del bitume, le sfumature del calcare. Lavorare duramente alle intemperie lo aveva rafforzato, ne era sicuro, e più i valori sballati tornavano a posto, più era convinto della sua fortunata vita. Era un "istintivamente fiducioso" nella sua inerte normalità. Aveva la pelle abbrustolita dal sole e dura, talmente dura da rendere difficile anche alle infermiere più esperte il posizionamento di un ago.
Ma qualche giorno fa, una crisi respiratoria lo ha colto impreparato all'arrivo della perfida signora nera. Con gli occhi sbarrati, la fame d'aria lo stava murando vivo. Il volto sempre più grigio e prosciugato, si confondeva appena dietro alla maschera verde dell'ossigeno. Le labbra vermiglie viravano al bluastro, febbrili.
Ed è finita così la sua vita, in un istante, con l'uovo di Pasqua sopra al letto, il logorio di un coraggio mai abbandonato e l'imperscrutabile atmosfera del suo mondo, semplice solo all'apparenza.

Indugiamo sui piccoli dettagli, che non sono mai futili, e parlano molto di se'.
Ricordiamoci che le inezie non ci faranno mai perdere di vista l'insieme, bensì lo arricchiranno di significato (Fanni Guidolin).

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