Un pene esagerato e una donna che non c'è
(Ringrazio il mio paziente per avermi consentito di raccontare la sua storia.
L'ho scritta in prima persona , respirando tutta l'energia di un uomo a metà)
Fino a tre mesi fa, la vita scorreva fluida senza intralci ed io scorrevo insieme a lei, felice.
Poi, il maledetto cancro si è insediato in me ed ha colpito la mia virilità.
Mi hanno asportato la prostata e sono diventato incontinente e impotente.
Era un rischio al quale ero stato preparato, ma fin là. Nel senso che speri sempre di non essere lo sfigato che cade dentro a quel quindici per cento dei casi e invece...
Alla dimissione, sono tornato a casa con la testa bassa, affranto e carico di paure. Portavo un pannolone ingombrante, insopportabile, pesante. Mi sentivo l'odore acre di urina addosso e il cuore si faceva di piombo ad ogni passo. Come il mio pannolone. Ero smarrito, diverso, perso in una agitazione mai conosciuta.
Dopo un percorso di riabilitazione, mi sono sentito più forte e sicuro. La malattia aveva creato un nuovo me.
Ho buttato via il pannolino ma non ero più uomo.
Mi sono deciso. Ho affrontato il problema dell'impotenza con uno specialista urologo andrologo.
Mi ha prescritto qualche compressa, per iniziare, e le iniezioni da fare sul pene.
Oggi mi ritrovo seduto sul divano e abbraccio le mie ginocchia. Il mio corpo mi sembra sempre più smilzo. Ho un'espressione meditabonda e seria. Infilo la testa nel collo largo di questo maglione più forato di un colabrodo. Cerco un mondo a parte, dove non ci sia sofferenza. Non lo trovo.
Sulla sedia il mio giubbotto in pelle frangiato e rattoppato, mi ricorda lo spirito libero di un tempo, le inesistenti paure, le avventure in giro per il mondo con le ciocche di capelli al vento, legate da un elastico consunto. Si andava "a donne" e si giocava a che ne conquistava di più, vantandosi ognuno della propria virilità. Poi è arrivata lei, l'angelo biondo, a farmi volare in altri paradisi. Siamo stati sposati per dieci anni, poi si è ammalata di cancro pure lei, ed è scomparsa.
Ricordo che quando ha perso tutti i capelli per la chemioterapia, aveva la testa che pareva una boccia e lei la copriva con delle cuffie ricamate, arricciate e sbuffanti. Mi faceva una tenerezza incredibile. Mi scende una lacrima.
Giro la testa dall'altra parte, sul tavolino in wengè, dove una siringa in un astuccio viola mi ricorda due cose: la mia impotenza e quel maledetto cancro subdolo e perfido. Sono costretto a sentirmi in preda di una decisione forsennata. Non voglio sembrare un uomo tutto intero solo perchè dipendo da una iniezione, ma non ho scelta. O così, o me a pezzi frammentati e sparsi.
D'un tratto, istintivamente fiducioso e con incredibile sicurezza, la afferro. Indosso i miei occhiali, quelli dalla montatura stravagante, perchè io ero così, originale e fiero. Dentro di me, qua e là, potevi trovare solo lo sfavillio di un uomo gioviale e giovanile. Esuberante ed egocentrico. Non mi riconosco in questo guscio funesto.
Estraggo la siringa pre dosata e mi spoglio delle mie insicurezze.
Ricordo bene le indicazioni del medico e ho tanta voglia di provare. Tremo. Ho paura dell'ago. Devo conficcarlo nel mio pene, ad occhi aperti e mano ferma. Indugio. Poi, esagero. Con un gesto tracotante lo inietto tutto questo liquido e aspetto.
Attendo il fluire della mia mascolinità, e penso alla mia solitudine. A quanto bello sarebbe potermi sentire parte di una coppia sfrenata, complice amato di una donna coperta da una fontana di riccioli, come la mia, bella da togliere il fiato. A come il cancro sia stato spietato e spiccio.
Un'ombra tremula mi accende un sorriso appena accennato. Funziona.
Mano a mano che passano i minuti mi ritrovo con un pene sempre più turgido, ma, se il mio orgoglio trova spazio e valore, provo dall'altra parte, sempre più dolore. Un dolore che si fa sempre più insopportabile, beffeggiandosi di me, fino a farmi sentire ridicolo e colmo di vergogna.
Sono costretto a recarmi al pronto soccorso per l'antidoto. Si chiama priapismo questo effetto collaterale. Ho esagerato con il dosaggio mi hanno detto, ma del resto, ho voluto spogliarmi di quell'abito mediocre che non mi apparteneva e vestire il mio. Quello di un io socievole e sfrenato, iperbolico quasi. Con un pene esagerato e una donna che non c'è.
Mi sono sentito uomo, intero e quasi integro. Mi sono sentito forte e giovane. Mi sono sentito "guarito".
L'ho scritta in prima persona , respirando tutta l'energia di un uomo a metà)
Fino a tre mesi fa, la vita scorreva fluida senza intralci ed io scorrevo insieme a lei, felice.
Poi, il maledetto cancro si è insediato in me ed ha colpito la mia virilità.
Mi hanno asportato la prostata e sono diventato incontinente e impotente.
Era un rischio al quale ero stato preparato, ma fin là. Nel senso che speri sempre di non essere lo sfigato che cade dentro a quel quindici per cento dei casi e invece...
Alla dimissione, sono tornato a casa con la testa bassa, affranto e carico di paure. Portavo un pannolone ingombrante, insopportabile, pesante. Mi sentivo l'odore acre di urina addosso e il cuore si faceva di piombo ad ogni passo. Come il mio pannolone. Ero smarrito, diverso, perso in una agitazione mai conosciuta.
Dopo un percorso di riabilitazione, mi sono sentito più forte e sicuro. La malattia aveva creato un nuovo me.
Ho buttato via il pannolino ma non ero più uomo.
Mi sono deciso. Ho affrontato il problema dell'impotenza con uno specialista urologo andrologo.
Mi ha prescritto qualche compressa, per iniziare, e le iniezioni da fare sul pene.
Oggi mi ritrovo seduto sul divano e abbraccio le mie ginocchia. Il mio corpo mi sembra sempre più smilzo. Ho un'espressione meditabonda e seria. Infilo la testa nel collo largo di questo maglione più forato di un colabrodo. Cerco un mondo a parte, dove non ci sia sofferenza. Non lo trovo.
Sulla sedia il mio giubbotto in pelle frangiato e rattoppato, mi ricorda lo spirito libero di un tempo, le inesistenti paure, le avventure in giro per il mondo con le ciocche di capelli al vento, legate da un elastico consunto. Si andava "a donne" e si giocava a che ne conquistava di più, vantandosi ognuno della propria virilità. Poi è arrivata lei, l'angelo biondo, a farmi volare in altri paradisi. Siamo stati sposati per dieci anni, poi si è ammalata di cancro pure lei, ed è scomparsa.
Ricordo che quando ha perso tutti i capelli per la chemioterapia, aveva la testa che pareva una boccia e lei la copriva con delle cuffie ricamate, arricciate e sbuffanti. Mi faceva una tenerezza incredibile. Mi scende una lacrima.
Giro la testa dall'altra parte, sul tavolino in wengè, dove una siringa in un astuccio viola mi ricorda due cose: la mia impotenza e quel maledetto cancro subdolo e perfido. Sono costretto a sentirmi in preda di una decisione forsennata. Non voglio sembrare un uomo tutto intero solo perchè dipendo da una iniezione, ma non ho scelta. O così, o me a pezzi frammentati e sparsi.
D'un tratto, istintivamente fiducioso e con incredibile sicurezza, la afferro. Indosso i miei occhiali, quelli dalla montatura stravagante, perchè io ero così, originale e fiero. Dentro di me, qua e là, potevi trovare solo lo sfavillio di un uomo gioviale e giovanile. Esuberante ed egocentrico. Non mi riconosco in questo guscio funesto.
Estraggo la siringa pre dosata e mi spoglio delle mie insicurezze.
Ricordo bene le indicazioni del medico e ho tanta voglia di provare. Tremo. Ho paura dell'ago. Devo conficcarlo nel mio pene, ad occhi aperti e mano ferma. Indugio. Poi, esagero. Con un gesto tracotante lo inietto tutto questo liquido e aspetto.
Attendo il fluire della mia mascolinità, e penso alla mia solitudine. A quanto bello sarebbe potermi sentire parte di una coppia sfrenata, complice amato di una donna coperta da una fontana di riccioli, come la mia, bella da togliere il fiato. A come il cancro sia stato spietato e spiccio.
Un'ombra tremula mi accende un sorriso appena accennato. Funziona.
Mano a mano che passano i minuti mi ritrovo con un pene sempre più turgido, ma, se il mio orgoglio trova spazio e valore, provo dall'altra parte, sempre più dolore. Un dolore che si fa sempre più insopportabile, beffeggiandosi di me, fino a farmi sentire ridicolo e colmo di vergogna.
Sono costretto a recarmi al pronto soccorso per l'antidoto. Si chiama priapismo questo effetto collaterale. Ho esagerato con il dosaggio mi hanno detto, ma del resto, ho voluto spogliarmi di quell'abito mediocre che non mi apparteneva e vestire il mio. Quello di un io socievole e sfrenato, iperbolico quasi. Con un pene esagerato e una donna che non c'è.
Mi sono sentito uomo, intero e quasi integro. Mi sono sentito forte e giovane. Mi sono sentito "guarito".