Confidenze...al Parco Bolasco. Per non smettere di credere ai sogni.


Parco Bolasco (Castelfranco Veneto, TV)


Ha le labbra rosate e un volto dolcissimo. Un certo compiacimento misto a orgoglio, si può leggere dal suo sguardo profondo. Ricco di emozioni che trasudano da ogni poro.
E' il mio paziente.
Ha continuato a sperare nei sogni, finché non si è avverato il più bello.
Siamo seduti l'uno accanto all'altra, in questo parco magnifico, appena inaugurato, nella nostra città.
Nell'aria un profumo selvatico confonde quello dell'erba appena tagliata, che sa ancora di muschio.
La sua pelle chiara, illuminata da incerti raggi di sole, fa trasparire i segni di una dura convalescenza, fitta di sofferenza. Nella mente, un avvicendarsi di ricordi miei e suoi si accavallano, come le statue laggiù, se le guardi da questa prospettiva. Lui, ha gli occhi che brillano, e anche se il respiro gli graffia la gola, parlare lo aiuta a districarsi da quel filo d'ansia che ancora traspare debolmente. Rimango incantata dalle sue parole.
Il laghetto dinnanzi a noi sembra argento liquido. Contro luce appare di un verde smeraldo che non si può neanche immaginare, tanto è bello. Il cielo sembra ora screziato di turchese. Se non conosci l'amore nulla qui appare così carico di significato. E così una viola ti sembra di un viola magnifico e un albero secolare parla il tuo linguaggio. Il verde è più verde che mai e il rosa ancora più romantico.
Il mio paziente fissa l'acqua immobile. Solo due anatre disegnano cerchi concentrici al centro del laghetto. Come è geometrica la natura.
Egli rimane in silenzio.

Vorrei appropriarmi subito dei suoi pensieri, con prepotenza, farli miei ed entrare in lui per potervi descrivere la magnificenza del suo sguardo liberato dalla guarigione dopo essere stato rapito dalla malattia.
Ricordo fin troppo bene quel giorno in cui cadde nel buio. Come un fulmine che squarcia la notte, la malattia entrò preponderante facendo crollare tutte le sue certezze. E' un'espressione remota ormai quella impressa nella mia mente durante la sua sofferenza.
Mi guarda. Mi fissa negli occhi. I suoi sono velati dalle lacrime. Appoggia la mano sul mio braccio, piano, per non disturbare. Poi, finalmente, straccia il silenzio con parole indimenticabili.

"Ho creduto di morire. Era come vivere nel terrore cieco con il brusio minaccioso dei miei cattivi pensieri. Resisti, mi dicevo.
Credevo che l'avrei trovata prima o dopo, la forza, e guardavo al domani non troppo lontano, con la speranza sempre piena, di realizzare il mio grande sogno. Si faceva strada la convinzione che più rincorressi quel sogno e prima si sarebbe materializzato. E che più rincorressi quel sogno e più guarissi dalla mia malattia. Stavo solo spostando le mie attenzioni da una bizzarra e diabolica irrequietezza ad una idea di amore vero.
Ma finché la mia realtà non fosse uscita dalla campana, nulla sarebbe potuto accadere.
E' stato un bel giorno, mentre guardavo l'alba accendere il cielo turchese che quella voce morbida come il velluto mi rapì.
Non chiedeva nessun riscatto. Insieme ai brividi, sapeva farmi provare un'immensa paura. Quella di perderla. Era lei l'amore mio. Era lei la donna della mia vita.
Ci siamo trovati avvinghiati in un unico soffio. Un unico respiro. Un unico afflato. In un giorno unico e particolare. Con lei, così indifferente alla mia malattia, in un posto in cui non ero mai stato: dentro di me.
Lei, aveva saputo farmi innamorare due volte. Prima di lei e poi di me stesso.
E sono guarito.


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