Grassa

Ha il piglio disinvolto di un'attrice la mia paziente. Un seno procace stretto in un bustino bianco panna, i fianchi morbidi ed esuberanti evidenziati dalla camicia da notte in raso rosa, le pantofole in leggero pelouche.
Mantiene una regolare e ordinata scriminatura nel mezzo della capigliatura. Tutte le mattine, prima del giro visita, trasforma l'abituale massa crespa (così la definisce lei) e disordinata, in una cascata di onde lucide e regolari. Cura le ciglia con un velo di mascara. Sembrano quelle di una bambola. Come le bambole che avevamo da bambine, che tenevano sempre gli occhi spalancati, anche quando le stendevi giù, per farle dormire.
Nel momento stesso in cui entro nella sua stanza, la trovo elegantemente abbarbicata a bordo del letto, composta e sicura, non lascia trapelare alcuna agitazione. Domani verrà operata e diventerà una paziente Stomizzata. IO sono venuta a farle il disegno pre operatorio. I medici si erano raccomandati che giungesse all'intervento con almeno quindici chili in meno, ma è stato impossibile.
"Sono grassa".
È' così che esordisce Flavia mentre inforca  gli occhiali attaccati ad una catenina di caucciù al collo.
"Sono una botticella di lardo traballante che non mi fa respirare se mi stendo", mi dice sarcastica. "Il grasso non mi fa camminare perchè imprigiona le mie ginocchia, non mi fa dormire perchè mi stritola, mi tortura". Ride sardonica e mi contagia della sua ironia pungente. Io tengo gli occhi sbarrati. Lei in quel corpo pesante, non ci vuole più stare.
Si alza in piedi e solleva piano la camicia da notte mostrandomi le cosce abbondanti: "Ho grasso da vendere", grida recitando, spostando le onde di capelli dalle spalle e lasciando intravvedere una parata di tatuaggi sulle braccia voluminose. Poi, si avvia verso la poltrona all'angolo della stanza. Una poltrona ampia e bassa, di fronte alla scrivania. L'unico modo per sedersi su quella poltrona è sprofondarci dentro ed esserne inghiottiti, e Flavia lo sa bene che il suo fondoschiena, tra pochi istanti, si incastrerà senza facile via d'uscita.
"Mi chiedo se la differenza tra il successo e il fallimento nella vita possa essere quantificata da una taglia di pantaloni", chiede rattristata.
"Probabilmente in alcuni casi è così", rispondo a malincuore. "Ma non è vero che quanto più si ambisce ad una meta misurabile, tanto più questa si allontana. Tutt'altro. Quanto più si ambisce a realizzare un sogno, rincorrendolo fino a perdere il fiato, tanto più esso appare vicino e realizzabile.
Lo sai che il tuo corpo non sarà mai una sequenza di spigoli, ma lasciati  concedere un pensiero sfrenato : c'è ancora tempo per farcela".
Arriccia le labbra in un piccolo broncio Flavia. La sua espressione sembra afflitta ora.
Le rispiego cosa significhi avere un sacchettino attaccato su una pancia debordante e ampia, incastrato tra le pieghe, schiacciato da forme che rendono difficile anche trovarne il sito.
Facciamo le prove, lo appiccichiamo alto, e basso, e più a destra e più a sinistra. Non troviamo posto in cui ci dia sicurezza di tenuta. E' così che Flavia scoppia in un pianto a dirotto e mi abbraccia forte. Lei, morbida e fragile, lascia cadere emblema e certezza che l'obesità non sia un limite. "Lo è Flavia", accenno mentre osservo la mera immersione del suo volto in pensieri tristi. "L'obesità è un limite Flavia. Non certo per il tuo aspetto, magnifica donna. L'obesità è un limite per la guarigione, per un intervento chirurgico, per il benessere in generale. E' un limite per ogni attività fisica, anche quella meno dispendiosa come il dormire".
Le sue labbra vermiglie sono ancora più serrate. Poi, fissandomi con il volto sbieco e pallido, come una bambola di cera, afferra le mie mani. Le porta tra le sue, avvolgendole con materna e amorevole cura e mi chiede finalmente aiuto. Ce la puoi fare. Penso tra me e me.


Flavia è stata operata di "bendaggio gastrico" e con l'aiuto di uno psicologo e di un percorso dietologico accetta ora la meravigliosa donna che è in lei. Ha perso 55 kg. E' stata una mia paziente stomizzata durante l'obesità e non vi dico le difficoltà con i sacchetti. E' sempre il paziente tuttavia, che sceglie il suo percorso di cura. Il terapista spiega, può spianare la strada, accomodare, può facilitare, sostenere e aiutare, ma la decisione per il cambiamento deve partire da una vera motivazione, sola e soltanto del paziente stesso.




Post più popolari