Bambini senza colpe
(Scritto da Fanni Guidolin respirando ansie, timori ed emozioni della mamma)
E' uno scricciolino di quattro anni la mia bambina. I riccioli sospesi nel volto le coprono due occhi a mandorla color cioccolato, come suo padre. Veste tutte le sue bambole con pezzi di stoffe colorate, inventandosi degli abiti come se fosse una stilista affermata. Trascorre ore a giocare fingendosi prima un'organizzatrice di sfilate d'alta moda, poi un medico affermato e infine una ballerina del Bolshoi, impiastricciandosi gli occhi di trucco.
Martina e' nata con ano imperforato. I medici si sono accorti subito ovviamente, e l'hanno sottoposta ad un intervento chirurgico urgente, delicatissimo. Le hanno ricostruito tutto il canale anale ma, per lasciare guarire quel tratto, hanno dovuto deviare la strada delle feci, con una stomia sulla pancia. Così, nostra figlia, e' uscita dalla sala operatoria con un sacchettino accanto all'ombelico che era più grande di lei. Lì, si sarebbe raccolta la cacca. Avremmo dovuto imparare a svuotarlo e a cambiarlo, facendo attenzione a prevenire le dermatiti da macerazione della pelle, il prolasso della stomia, o la retrazione, le infezioni e altre complicanze.
Abbiamo avuto l'appoggio di due enterostomisti davvero bravi, che ci hanno istruito ed educato in ogni passaggio, con molta pazienza. Fin qua, tutto bene. I giorni in ospedale sono volati e l'allegria delle infermiere era per noi contagiosa. Regalavano sorrisi e abbracci, qualche battuta ironica sulle puzzette, e qualche barzelletta sulla cacca. Sdrammatizzavano così, con velata leggerezza, ciò che per noi sembrava una montagna insormontabile. Abbiamo conosciuto anche un infermiere vestito da pagliaccio che dispensava la comicoterapia. Un'altra invenzione magicamente guaritrice dei bambini. Il ricovero di un bambino in ospedale è sempre traumatico anche per i genitori ma vi assicuro, che ci hanno levato il peso di un'ansia che voleva farsi strada tra preoccupazioni prevedibili.
Il rientro a casa è stato traumatico.
Io e mio marito ci siamo sentiti naufraghi in un mare troppo grande e troppo profondo. Martina piangeva spesso e non capivamo se il motivo fossero le coliche o il bruciore della placca adesiva sulla pancia, dove le feci si infiltravano e staccavano sempre tutto. Io, con lo sguardo sempre nudo e nereggiante, non riuscivo più a dormire la notte e mio marito, terminato il periodo di ferie, dovette ritornare a lavorare. Un lavoro a turni che non gli consentiva quasi mai di seguire Martina. Tutto gravava sulle mie spalle fino a farmi piombare in un buco nero.
Ho cominciato a prendere psicofarmaci e a farmi aiutare da una psicologa, da altri genitori con bambini problematici, dalle insegnanti del nido, dalle suore della parrocchia e dai miei genitori. Mi recavo tutte le settimane dall'enterostomista con Martina, e poi dal medico di famiglia e venivo tranquillizzata puntualmente. La solidarietà era tangibile, gratuita, ricca di affetti. Andava tutto bene, tranne me. Al rientro in casa, il mio corpo nervoso cadeva nell'abisso. Io una figlia cosi' non potevo accettarla. Chissà come sarebbe stata considerata da adulta. Chissà se avrebbe mai trovato un fidanzato. Forse non avrebbe mai conosciuto la gioia di essere madre. Non avrebbe potuto viaggiare nè andare in un cinema o in una discoteca. Chi si sarebbe avvicinato mai a lei con quegli odori?
Mi irritava sentirla piangere e mugolare. Spesso la lasciavo per ore imbrattata di feci perchè la mia mente si rinfocolava e non trovava soluzioni. Avrei semplicemente dovuto staccare un adesivo e metterne un altro, ma il black out in cui si trovavano le mie sinapsi, me lo impedivano.
Sono trascorsi quasi quattro anni in cui il senso di colpa mi attanagliava senza tregua e mio marito faceva del suo meglio, con una faccia inopinatamente allegra, per alleggerirmi. Spendeva poche parole, evasive ma morbide. Indossava una maschera silenziosa.
Un giorno, sono tornata a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Avevo la faccia pesante e seria. I miei occhi emanavano una luce neonica, fredda. Martina giocava di sopra, nella sua cameretta rosa. La baby sitter mi aveva riferito che tutto era andato per il meglio.
Sono salita piano, silenziosamente, perchè la sentivo parlare. Probabilmente stava giocando con le sue bambole. Infatti. Aveva attaccato un sacchetto per stomia ad ognuna di esse. Le coccolava, le abbracciava, diceva di voler loro tanto bene, che si sarebbe presa cura di loro come le infermiere dell'ospedale. E' stato in quell'istante che ho capito che Martina aveva solo bisogno della mia accettazione, del mio amore, della mia serenità. Io ero lei e lei le sue bambole. Era vertiginosa la certezza di ciò che dovevo fare. Subito.
E da quel giorno ho buttato pasticche e goccette, ipnotici e miorilassanti. Da quel giorno ho ricominciato a fare la mamma. Grazie a mia figlia. Dolce bambina senza colpe.
E' uno scricciolino di quattro anni la mia bambina. I riccioli sospesi nel volto le coprono due occhi a mandorla color cioccolato, come suo padre. Veste tutte le sue bambole con pezzi di stoffe colorate, inventandosi degli abiti come se fosse una stilista affermata. Trascorre ore a giocare fingendosi prima un'organizzatrice di sfilate d'alta moda, poi un medico affermato e infine una ballerina del Bolshoi, impiastricciandosi gli occhi di trucco.
Martina e' nata con ano imperforato. I medici si sono accorti subito ovviamente, e l'hanno sottoposta ad un intervento chirurgico urgente, delicatissimo. Le hanno ricostruito tutto il canale anale ma, per lasciare guarire quel tratto, hanno dovuto deviare la strada delle feci, con una stomia sulla pancia. Così, nostra figlia, e' uscita dalla sala operatoria con un sacchettino accanto all'ombelico che era più grande di lei. Lì, si sarebbe raccolta la cacca. Avremmo dovuto imparare a svuotarlo e a cambiarlo, facendo attenzione a prevenire le dermatiti da macerazione della pelle, il prolasso della stomia, o la retrazione, le infezioni e altre complicanze.
Abbiamo avuto l'appoggio di due enterostomisti davvero bravi, che ci hanno istruito ed educato in ogni passaggio, con molta pazienza. Fin qua, tutto bene. I giorni in ospedale sono volati e l'allegria delle infermiere era per noi contagiosa. Regalavano sorrisi e abbracci, qualche battuta ironica sulle puzzette, e qualche barzelletta sulla cacca. Sdrammatizzavano così, con velata leggerezza, ciò che per noi sembrava una montagna insormontabile. Abbiamo conosciuto anche un infermiere vestito da pagliaccio che dispensava la comicoterapia. Un'altra invenzione magicamente guaritrice dei bambini. Il ricovero di un bambino in ospedale è sempre traumatico anche per i genitori ma vi assicuro, che ci hanno levato il peso di un'ansia che voleva farsi strada tra preoccupazioni prevedibili.
Il rientro a casa è stato traumatico.
Io e mio marito ci siamo sentiti naufraghi in un mare troppo grande e troppo profondo. Martina piangeva spesso e non capivamo se il motivo fossero le coliche o il bruciore della placca adesiva sulla pancia, dove le feci si infiltravano e staccavano sempre tutto. Io, con lo sguardo sempre nudo e nereggiante, non riuscivo più a dormire la notte e mio marito, terminato il periodo di ferie, dovette ritornare a lavorare. Un lavoro a turni che non gli consentiva quasi mai di seguire Martina. Tutto gravava sulle mie spalle fino a farmi piombare in un buco nero.
Ho cominciato a prendere psicofarmaci e a farmi aiutare da una psicologa, da altri genitori con bambini problematici, dalle insegnanti del nido, dalle suore della parrocchia e dai miei genitori. Mi recavo tutte le settimane dall'enterostomista con Martina, e poi dal medico di famiglia e venivo tranquillizzata puntualmente. La solidarietà era tangibile, gratuita, ricca di affetti. Andava tutto bene, tranne me. Al rientro in casa, il mio corpo nervoso cadeva nell'abisso. Io una figlia cosi' non potevo accettarla. Chissà come sarebbe stata considerata da adulta. Chissà se avrebbe mai trovato un fidanzato. Forse non avrebbe mai conosciuto la gioia di essere madre. Non avrebbe potuto viaggiare nè andare in un cinema o in una discoteca. Chi si sarebbe avvicinato mai a lei con quegli odori?
Mi irritava sentirla piangere e mugolare. Spesso la lasciavo per ore imbrattata di feci perchè la mia mente si rinfocolava e non trovava soluzioni. Avrei semplicemente dovuto staccare un adesivo e metterne un altro, ma il black out in cui si trovavano le mie sinapsi, me lo impedivano.
Sono trascorsi quasi quattro anni in cui il senso di colpa mi attanagliava senza tregua e mio marito faceva del suo meglio, con una faccia inopinatamente allegra, per alleggerirmi. Spendeva poche parole, evasive ma morbide. Indossava una maschera silenziosa.
Un giorno, sono tornata a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Avevo la faccia pesante e seria. I miei occhi emanavano una luce neonica, fredda. Martina giocava di sopra, nella sua cameretta rosa. La baby sitter mi aveva riferito che tutto era andato per il meglio.
Sono salita piano, silenziosamente, perchè la sentivo parlare. Probabilmente stava giocando con le sue bambole. Infatti. Aveva attaccato un sacchetto per stomia ad ognuna di esse. Le coccolava, le abbracciava, diceva di voler loro tanto bene, che si sarebbe presa cura di loro come le infermiere dell'ospedale. E' stato in quell'istante che ho capito che Martina aveva solo bisogno della mia accettazione, del mio amore, della mia serenità. Io ero lei e lei le sue bambole. Era vertiginosa la certezza di ciò che dovevo fare. Subito.
E da quel giorno ho buttato pasticche e goccette, ipnotici e miorilassanti. Da quel giorno ho ricominciato a fare la mamma. Grazie a mia figlia. Dolce bambina senza colpe.