Sola, tra una marea di gente
Ha la gonna lunga fino ai piedi la signora accanto al mio letto. Tiene un grembiule verde allacciato in vita, come se avesse appena finito di cucinare, le mani in tasca e uno scialle di lana sulle larghe spalle. Non porta le scarpe ma delle babucce in panno lenci marrone. I capelli sono raccolti in uno chignon. Se non fosse il sei di gennaio la mia mente non penserebbe alla befana ma la signora è davvero allegorica e una certa emblematica somiglianza c'è. Mi sorride compiaciuta con gli occhi, inclinando un po' la testa e mezzo busto, come se mi facesse un inchino. Appare gentile con me, e con il resto delle persone nella stanza. E' una donna rom con le mani scure, bruciacchiate. Non credo sia una di quelle mamme che toglie il pane dal forno con le mani come la mia. Penso piuttosto che sia una fumatrice incallita. Seduta sulle sue ginocchia, una ragazzina più o meno alla moda, gioca con l'Iphone.
Ogni giorno, attraverso la porta aperta, vedo passare una marea di gente in corsia durante l'orario di visita. Persone trafelate con fiori in mano, borse in spalla con il cambio della biancheria per i loro cari, scie di profumo e deodorante, perchè si sa, quando si va in ospedale a trovare qualcuno, viene quasi spontaneo far notare a tutti che si sta bene, in forma, ben addobbati.
Qualcuno entra anche fuori orario di visita, intrufolandosi come un ladro, con lo sguardo furbesco.
In questa camera i parenti della mia vicina sono in sei anche stasera, come ieri e l'altro ieri, tutti accanto al suo letto e l'aria comincia a mancare. Parlano a voce alta e, a parte la donna rom, stanno tutti in piedi. Irti al capezzale fissano la mia vicina di letto come se fosse moribonda. Vogliono esplorare sotto le coperte, vedere le ferite, le medicazioni sulla pancia. Ha solo tre cerottini invisibili. E' stata operata alla colecisti, sta benissimo, non ha il cancro come me signori miei ne' un sacchetto pieno di feci sulla pancia. Chissà se verrebbero in tanti ugualmente se fosse stomizzata. Eppure sono così affettuosi con lei che quasi provo un pizzico di invidia. Forse è rancore represso, forse semplicemente desiderio di affetto. Da me non è venuto nessuno.
Esco a fare una passeggiata in corridoio. Indosso la vestaglia rosa sulle spalle e spingo il paletto della flebo con la mano dolente. L'ago mi fa molto male. Nell'altra mano tengo una borsa della spesa, ci ho infilato i drenaggi e la sacca delle urine.
Butto lo sguardo dentro ad ogni stanza e rubo le immagini, osservo, per farmi del male, quanta emotività, e quanto sentimento si può portare ad un malato in ospedale. Un marito seduto a bordo letto, insieme alla moglie, l'aiuta ad arrotolare le maniche della camicia da notte e le sposta un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Nell'altra stanza una signora sembra in preda ad emozioni incontenibili mentre il figlio la abbraccia. Sento un pugnale nello stomaco contorto. Un paziente cammina adagio con il girello, un amico gli sorregge il braccio e mi regala un sorriso senza confini. E' felice di assisterlo, ma un nodo alla gola sembra soffocarmi. Una mamma è curva sulle spalle e sul bastone di sostegno ma cammina flessuosa. La figlia spinge il suo paletto della flebo e le cinge la vita amorevolmente. Ha la mano aperta, avvolgente, mentre io mi sento fasciata solamente dalla solitudine.
Torno in camera. Per me non è arrivato nessuno.
Mi sento come se avessero abbattuto un'intera foresta lasciando in piedi un solo albero. Io.
Sergio avrà avuto i soliti clienti impertinenti. Butto gli occhi sul cellulare. C'è un messaggio di Sergio: "Piccola, non potrò venire neanche stasera. Buonanotte tesoro mio". Ecco, il ghiaccio ha disgregato la mia piccola composta felicità. Anche se stiamo insieme da pochi mesi, nutrivo in lui una fiducia senza fine.
Adagio triste e pesante la mia testa sul cuscino e spengo la luce. Nemmeno le lacrime sono bagnate. Poi, improvvisamente e quasi senza peso, una mano sulla mia spalla si appoggia lieve. "Ho portato qualche rivista di gossip, vuoi che chiaccheriamo un po' insieme ?. Il reparto è tranquillo", mi dice dolcissima e affettuosa quella infermiera. Si era accorta di tutto. Di me, sola, tra una marea di gente.
Ed io, non la dimenticherò mai.
Fanni Guidolin
Ogni giorno, attraverso la porta aperta, vedo passare una marea di gente in corsia durante l'orario di visita. Persone trafelate con fiori in mano, borse in spalla con il cambio della biancheria per i loro cari, scie di profumo e deodorante, perchè si sa, quando si va in ospedale a trovare qualcuno, viene quasi spontaneo far notare a tutti che si sta bene, in forma, ben addobbati.
Qualcuno entra anche fuori orario di visita, intrufolandosi come un ladro, con lo sguardo furbesco.
In questa camera i parenti della mia vicina sono in sei anche stasera, come ieri e l'altro ieri, tutti accanto al suo letto e l'aria comincia a mancare. Parlano a voce alta e, a parte la donna rom, stanno tutti in piedi. Irti al capezzale fissano la mia vicina di letto come se fosse moribonda. Vogliono esplorare sotto le coperte, vedere le ferite, le medicazioni sulla pancia. Ha solo tre cerottini invisibili. E' stata operata alla colecisti, sta benissimo, non ha il cancro come me signori miei ne' un sacchetto pieno di feci sulla pancia. Chissà se verrebbero in tanti ugualmente se fosse stomizzata. Eppure sono così affettuosi con lei che quasi provo un pizzico di invidia. Forse è rancore represso, forse semplicemente desiderio di affetto. Da me non è venuto nessuno.
Esco a fare una passeggiata in corridoio. Indosso la vestaglia rosa sulle spalle e spingo il paletto della flebo con la mano dolente. L'ago mi fa molto male. Nell'altra mano tengo una borsa della spesa, ci ho infilato i drenaggi e la sacca delle urine.
Butto lo sguardo dentro ad ogni stanza e rubo le immagini, osservo, per farmi del male, quanta emotività, e quanto sentimento si può portare ad un malato in ospedale. Un marito seduto a bordo letto, insieme alla moglie, l'aiuta ad arrotolare le maniche della camicia da notte e le sposta un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Nell'altra stanza una signora sembra in preda ad emozioni incontenibili mentre il figlio la abbraccia. Sento un pugnale nello stomaco contorto. Un paziente cammina adagio con il girello, un amico gli sorregge il braccio e mi regala un sorriso senza confini. E' felice di assisterlo, ma un nodo alla gola sembra soffocarmi. Una mamma è curva sulle spalle e sul bastone di sostegno ma cammina flessuosa. La figlia spinge il suo paletto della flebo e le cinge la vita amorevolmente. Ha la mano aperta, avvolgente, mentre io mi sento fasciata solamente dalla solitudine.
Torno in camera. Per me non è arrivato nessuno.
Mi sento come se avessero abbattuto un'intera foresta lasciando in piedi un solo albero. Io.
Sergio avrà avuto i soliti clienti impertinenti. Butto gli occhi sul cellulare. C'è un messaggio di Sergio: "Piccola, non potrò venire neanche stasera. Buonanotte tesoro mio". Ecco, il ghiaccio ha disgregato la mia piccola composta felicità. Anche se stiamo insieme da pochi mesi, nutrivo in lui una fiducia senza fine.
Adagio triste e pesante la mia testa sul cuscino e spengo la luce. Nemmeno le lacrime sono bagnate. Poi, improvvisamente e quasi senza peso, una mano sulla mia spalla si appoggia lieve. "Ho portato qualche rivista di gossip, vuoi che chiaccheriamo un po' insieme ?. Il reparto è tranquillo", mi dice dolcissima e affettuosa quella infermiera. Si era accorta di tutto. Di me, sola, tra una marea di gente.
Ed io, non la dimenticherò mai.
Fanni Guidolin