Non ti vergognar di quell'acqua salata


Oggi ha una faccia incerta Livio. E' a letto, girato dall'altra parte, verso la finestra. Tiene un gomito sotto l'orecchio, come per sostenere la testa. La luce fuori è debole e lui mi appare come sbiadito.
Sente il mio passo leggero e si volta verso di me. Il suo pallore è lucente ed ora la luce mi appare livida. Socchiude gli occhi e poi li sgrana, come per guardarmi meglio, in una miopia sognante. E' felice che io sia qui. Gli scappa un "ciao" mentre si va addensando in me un grumo di commozione. Un nodo che si ferma in gola e resta là, a ricordarmi che non posso emozionarmi troppo, serve una certa distanza tra me e i pazienti. Livio e' ricoverato per accertamenti, sospettano delle metastasi. E' stato operato cinque anni fa per un cancro dal quale è guarito e gli sono talmente affezionata che non potrei accettare una brutta notizia. 
Ma oggi i suoi occhi galleggiano in una faccia molle e triste. Cerco di indossare la mia maschera silenziosa, quella dell'ascolto, puntando i miei occhi dritti sulle sue pupille verde bosco. Voglio essere sconsideratamente ottimista e ascoltare quello che avrà da dirmi.

Ho conosciuto Livio per caso, mentre faceva una tac. Mi trovavo in radiologia per altri motivi quando gli passai accanto e lui mi disse che aveva paura. Era seduto con le mani tra le ginocchia e le spalle curve, rigido. Non so perchè lo disse a me, in quel momento andavo anche di fretta, ma mi fermai accanto a lui. C'era una strana luce nei suoi occhi. Aveva paura della diagnosi. 
Non gli dissi nulla, rimasi in silenzio appoggiando la mia mano sul suo ginocchio. Entrambi sapevamo che avrebbe dovuto sottoporsi ad un grosso intervento, sarebbe diventato mio paziente ed io lo avrei sostenuto.
"Ho una figlia della tua età" mi disse. Scoppiai in una risata fragorosa quando mi disse  quanti anni aveva. Erano otto più dei miei! Scherzammo sulle mie rughe e la paura passò. 
L'intervento andò bene e Livio è diventato un paziente stomizzato, felice, ora è il vice presidente dell'associazione stomizzati, desideroso di sensibilizzare la popolazione, di farsi portavoce di un problema (la stomia) che non deve più essere chiamato problema. 

Oggi nella stanza numero otto, Livio mi ricorda quel giorno, in radiologia. Gli occhi spaventati, la voce tremante, un corpo rannicchiato, la sua paura, l'attesa di una diagnosi atroce. Un'altra. 
Mi avvicino  per fargli una carezza sul braccio. La sua pelle è morbida. La pura immersione del suo volto nei miei occhi mi fa riscoprire emozioni celate da troppo tempo. Mai avrei pensato di piangere per lui. 
Mi abbraccia forte. 
"Ti voglio bene", mi sussurra soffocando un gemito.
E' inutile, mi dico. La corazza si sfascia se sotto c'è un terremoto di emozioni e anch'io, me ne frego di chi sono, e con lacrime che bruciano e che mi rigano il volto, acqua salata che non lascia oblii, ammetto le mie debolezze. Sono un'essere umano.





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