IO NON HO PAURA DI MORIRE
Dedicato
alla mia paziente, dal coraggio guaritore
"Fareste meglio a chiamare tutta la famiglia"
Ci avvisa così, il medico del reparto, a testa bassa e
voce fioca, quando esce dalla stanza di mia mamma.
Non vorresti mai sentirle quelle gelide parole. Tagliano
il cuore a pezzi.
E' cianotica e sudorante. Le prendo la mano fredda, respira
con l'ossigeno in una maschera che sembra soffocarla, e non darle ancora
qualche ora di vita. La situazione è precipitata all'improvviso. Stava
cucinando, rispondeva spiccia alle mie provocazioni sul peperoncino nella
pasta, tra un secco cozzare delle ceramiche di piatti e tazzine che lavavo
accuratamente. La sua voce era briosa, festante, poi il buio. E' caduta a terra
esanime. Insufficienza respiratoria grave da infezione ai polmoni.
Siamo tutti attorno a lei, che quasi ci sorride
incredula, non capendo che il mondo a volte va più veloce della luce mentre la
mente resta indietro, a sognare, insieme al corpo.
Meglio così mammina, che non ti stai accorgendo di nulla.
Ti osservo stretta nelle spalle, con le lacrime agli
occhi. Sento un gelo che ghiaccia il sangue nelle mie vene. Abbassiamo la luce
e le nostre ombre tremule si riflettono sul muro apparendo ancora più grandi. Guardi
me, mentre ondeggio vaga, regalandomi un sorriso ruffiano. Poi mi siedo accanto
a te, in silenzio. Non dimostri affatto settantasei anni, non hai mai voluto
diventare vecchia. Ti accarezzo i riccioli biondi. Quante volte abbiamo cercato
di trovare la tinta giusta per i tuoi capelli. Volevi che il giallo della tua
chioma tentasse di perpetuare il biondo della giovinezza. Eri ironica perfino
con te stessa.
Il medico entra a fare altri controlli: "Dobbiamo
trasferirla in rianimazione".
Improvvisamente non sento le gambe e devo prendere un
caffè per rendermi conto che non sto sognando. Arrivo in terapia intensiva
sudata e agitata. Certe volte mi chiedo come faccia l'essere umano a sopravvivere
a tanta preoccupazione. Quando l'ansia è così opprimente e il tuo di respiro si
fa difficile, ti sembra di soffocare. Ti agiti, cerchi di non affogare, stai a
galla ma qualcosa ti spinge giù, dalle spalle, negli abissi. E' il panico.
Sei già intubata e sedata. Mille fili ti legano qui
adesso. Io annaspo sul ciglio del letto a spondine alzate. La mascherina mi
toglie l'aria e i guanti mi allontanano dal contatto con la tua pelle. Hai gli
occhi aperti mamma, ma sei lontana anni luce da me. Lucenti occhi azzurrissimi
ficcati tra le rughe tanto odiate. Sei ancora così giovane...
"Non c'è più nulla da fare"
L'anestesista ci convoca nella stanzina adiacente.
Improvvisamente i muri mi appaiono sbrecciati , fissi nel cemento oleoso. Ieri
mamma stava benissimo, e oggi mi dicono che morirà tra poche ore. In pochi
istanti l'illusione fugge nuovamente via e lascia il posto alle tremende certezze.
"I valori sono in aumento, il cuore è scompensato,
non urina più nonostante i farmaci"
Rimaniamo tutta la notte in ospedale, fuori della sala di
rianimazione. Tutti uniti.
Entriamo a turno uno ad uno, fissiamo il monitor. Le
linee sono a tratti regolari e a tratti il bip bip si fa intenso, fa scattare
un allarme e il medico accorre. Inietta qualche cc di non so che farmaco, poi
va via, a controllare gli altri pazienti appesi al filo della vita.
Lei apre gli occhi, con il tubo in bocca il suo sembra un
sorriso a ferita, mi parla con due pupille limpide, uno sguardo deciso,
presente. Sta bene, lo sento.
Sono le sei del mattino e mamma è ancora viva. Attaccata
al respiratore con il cuore impavido, che batte ancora.
"Se volete andare a casa, la situazione è ora
stabile. Vi chiamiamo appena si complica"
Per loro era scontato che sarebbe precipitata nel burrone
mia mamma. Io potevo solo credere ai miei occhi, al suo sorriso e a quelle
linee rosse e verdi, regolari, ritmiche, senza pause. Potevo credere alla fede,
alle preghiere e all'amore che ho per lei ma anche a quei farmaci iniettati,
che la facevano sussultare, come se fossero vita.
L'hanno dimessa una settimana dopo. Miracolo.
Ogni mattina le ripeto quanto bene le voglio. Non sarò
mai riconoscente per la vita che mi ha dato.
"Io non ho paura di morire". Lei me lo ripete
tutte le sere, dal giorno della dimissione, come se a parlare fosse un angelo,
e come se sentisse il terremoto arrivare. Lo ha confessato solo a me, che temo
la morte più della mia stessa ombra.
Anche i paguri salgono in alto, sui rami, prima di uno
tsunami. Qualche ora prima, avvertono il pericolo, è un presagio.
E anche mia mamma lo avverte.
Ed eccoci qua, a programmare un grosso intervento di amputazione dei seni. Come se questo fosse
il prezzo da pagare per uno sconto sulla morte. Il terzo, in pochi anni. Come
se la vita fosse un rimescolio senza costrutto. E come se i buoni dovessero
sempre soccombere al male. Non è giusto.
Io, arrabbiata con il mondo, e con questo timido e
pallido sole invernale, lei, serena e
felice. "E' la vita. Facciamo quello che c'è da fare. Io non ho paura di
morire".