Voglio liberarmi dei tuoi ricordi
Molti familiari, alla morte del loro caro, desiderano liberarsi velocemente dei tristi ricordi che li hanno accompagnati nell'ultimo periodo di vita. Non è mancanza d'amore. E' proteggersi. Dal grande dolore.
Il materasso anti decubito, quattro pacchi di sacchetti per stomia, garze, siringhe e farmaci. Voglio restituire tutto e cancellare da questa casa ciò che è stato in questo ultimo anno.
Si sedeva sul quel cuscino in gel, mia madre.
Un cuscino freddo, nero, che odio. Mi ricorda più che mai le piaghe sul sedere che con difficoltà si potevano curare. Buttalo via, ti prego.
Percorreva il salotto con il girello fino all'ultimo giorno di vita. Curva e pesante sulla schiena, mia madre trascinava un volto increspato, come le onde di un mare agitato. Lei lo aveva sempre saputo che le nuvole sarebbero arrivate anche nella sua monotona esistenza e avrebbero disordinato le sue emozioni. Ma non così presto.
Mia madre era una donna precisa, metodica e statica anche nelle emozioni. Ma ora, erano disarmanti per me la sua aria infantile, le sue bizzarre imprecisioni e il dinamismo di un corpo che non seguiva più la razionalità . La demenza e il cancro le avevano rubato, negli ultimi giorni, anche i neuroni del dolore oltre che la vita stessa. Mia madre il dolore non lo provava più. E così io, non ho potuto ricucire gli inevitabili strappi di un rapporto altalenante. Non ho potuto chiederle scusa per aver desiderato che la morte se la portasse via nè per averla odiata dopo che ha lasciato mio padre nel mezzo della mia adolescenza sconclusionata.
Aveva una voce flautata negli ultimi tempi. Era come se un angelo, nascosto in lei in una dimensione iperborea, la accompagnasse piano alla fine. Ed io lo accettavo, con tanto di tappeto rosso.
Eccola la sua tazza in ceramica. Avvicino il mio naso su di essa. La voglio buttare. Non esistono ingredienti che fanno perdere il sapore.
Il plaid verde scuro è ancora piegato sul lato del divano in cui appoggiava i piedi, e lacrime si riversano copiose sulle mie guance. La coprivo dolcemente mentre si adagiava a riposare. Senti, la coperta odora di lei. Via. Ho il cuore stretto in una incudine.
Poi, prendo un sacco nero, quello della spazzatura, grande, inconfondibile. Lo riempio di lei. Svuoto il suo armadio, i cassetti, i mobiletti. La sua spazzola, la saponetta consunta, il talco e la crema mani e corpo. Non poteva stare senza la sua crema agli agrumi e miele. Voleva che gliela spalmassi tutte le sere ed io avevo sempre una gran fretta. Frizionavo rabbiosa un corpo che nemmeno le apparteneva più.
Il ghiaccio aveva cristallizzato le mie emozioni e non riuscivo a mostrare nemmeno un maldestro sorriso riconoscente, alla morte che se la stava portando via anche dal mio dolore. Lei non soffriva.
Via tutto. Voglio liberarmi dei tuoi ricordi cara madre, perchè il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è starci vicino e sentire che non lo potrai avere mai.
Il materasso anti decubito, quattro pacchi di sacchetti per stomia, garze, siringhe e farmaci. Voglio restituire tutto e cancellare da questa casa ciò che è stato in questo ultimo anno.
Si sedeva sul quel cuscino in gel, mia madre.
Un cuscino freddo, nero, che odio. Mi ricorda più che mai le piaghe sul sedere che con difficoltà si potevano curare. Buttalo via, ti prego.
Percorreva il salotto con il girello fino all'ultimo giorno di vita. Curva e pesante sulla schiena, mia madre trascinava un volto increspato, come le onde di un mare agitato. Lei lo aveva sempre saputo che le nuvole sarebbero arrivate anche nella sua monotona esistenza e avrebbero disordinato le sue emozioni. Ma non così presto.
Mia madre era una donna precisa, metodica e statica anche nelle emozioni. Ma ora, erano disarmanti per me la sua aria infantile, le sue bizzarre imprecisioni e il dinamismo di un corpo che non seguiva più la razionalità . La demenza e il cancro le avevano rubato, negli ultimi giorni, anche i neuroni del dolore oltre che la vita stessa. Mia madre il dolore non lo provava più. E così io, non ho potuto ricucire gli inevitabili strappi di un rapporto altalenante. Non ho potuto chiederle scusa per aver desiderato che la morte se la portasse via nè per averla odiata dopo che ha lasciato mio padre nel mezzo della mia adolescenza sconclusionata.
Aveva una voce flautata negli ultimi tempi. Era come se un angelo, nascosto in lei in una dimensione iperborea, la accompagnasse piano alla fine. Ed io lo accettavo, con tanto di tappeto rosso.
Eccola la sua tazza in ceramica. Avvicino il mio naso su di essa. La voglio buttare. Non esistono ingredienti che fanno perdere il sapore.
Il plaid verde scuro è ancora piegato sul lato del divano in cui appoggiava i piedi, e lacrime si riversano copiose sulle mie guance. La coprivo dolcemente mentre si adagiava a riposare. Senti, la coperta odora di lei. Via. Ho il cuore stretto in una incudine.
Poi, prendo un sacco nero, quello della spazzatura, grande, inconfondibile. Lo riempio di lei. Svuoto il suo armadio, i cassetti, i mobiletti. La sua spazzola, la saponetta consunta, il talco e la crema mani e corpo. Non poteva stare senza la sua crema agli agrumi e miele. Voleva che gliela spalmassi tutte le sere ed io avevo sempre una gran fretta. Frizionavo rabbiosa un corpo che nemmeno le apparteneva più.
Il ghiaccio aveva cristallizzato le mie emozioni e non riuscivo a mostrare nemmeno un maldestro sorriso riconoscente, alla morte che se la stava portando via anche dal mio dolore. Lei non soffriva.
Via tutto. Voglio liberarmi dei tuoi ricordi cara madre, perchè il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è starci vicino e sentire che non lo potrai avere mai.