Tu chiamalo se vuoi miracolo, fede o amore per la vita. Viaggiare mi ha salvato la vita.
Non potete minimamente immaginare le cose che ho visto.
Non avrei potuto se fossi morta prima. La mia grande fortuna è essere arrivata a sfiorare la morte solo ora, a ottantacinque anni e ad essere sopravissuta.
Il cancro, come una sagoma massiccia indistinta, ha bussato alla mia porta un anno fa.
Ho portato un sacchetto sulla pancia per alcuni mesi e ricevuto la notizia che non avrei mai voluto ricevere. Dall'esame istologico sul pezzo operatorio, qualche linfonodo positivo mi avrebbe obbligato alla chemioterapia. Silenzio. Il peggior silenzio è quello che non sente e che non parla. E' il cancro.
Come avrei sopportato all'età di ottantacinque anni il lento e progressivo consumarsi e spegnersi di una candela? Oh certo, un baratto con la sopravvivenza, con qualche prezzo da pagare, forse. O forse no. Io ho scelto di non fare nulla, di affidarmi a Dio, alle preghiere e alla forza in me. Mi sono sentita risucchiare da un vortice di elettricità.
Io, che tanta strada in giro per il mondo volevo ancora percorrere insieme a mio marito, e agli amici e ai nostri figli, e nipoti e pronipoti, e agli amici degli amici. Che senso avrebbe avuto temere costantemente la fine riducendo l'esistenza terrena ad una morte in vita? Volevo che la vita fosse più forte della morte. Volevo viaggiare ancora.
Si perchè nella nostra vita "il viaggiare" è stata la spinta propulsiva a tutte le cose. E' stata la nostra medicina nei momenti bui. La ricerca della novità per il nostro lavoro. Lo svago e l'impegno sociale. Abbeverarci di cultura, gustare sapori d'ogni dove, carpire i segreti della lunga vita dei Maya. Che si trattasse di piccoli tour, brevi visite, una mostra, lunghe attraversate o interminabili voli, la curiosità ci ha spinto a porci molte domande e a cercare le risposte tra i popoli, le culture, la gente vera, i mercatini e le favelas. Si viaggiava con il libro in mano, in cerca di quel luogo di interesse, ma anche di quello che non veniva mai descritto o fotografato.
Lo ammetto, la fortunata e agiata vita in cui mi sono ritrovata dopo pochi anni di lavoro, le giuste scelte economiche e le strategie della nostra impresa, hanno contribuito a costruire un grande patrimonio. Ma il cancro, come vedete, non ha preferenze. Che tu sia ricco o povero, che sia un avvocato o un medico, un operaio o una casalinga, lui, non ti guarda in faccia, ed entra senza bussare nè chiedere il permesso, in un bel giorno di primavera, quando le gemme ti ricordano il risveglio della natura e i primi soli sbracciano magliette risaltando la pelle schiarita dall'inverno.
Da bambina ammiravo mio padre lavorare un piccolo pezzo di terra, due vitigni, e tre alberi da frutto, e con quattro spiccioli in tasca e una bicicletta, si partiva con gli amici per chissà dove, in cerca di cose belle. Quelle viti, nascondiglio dei giochi d'infanzia e di scorpacciate di sottecchi, sono diventate oggi il nostro impero. Nessuno lo avrebbe immaginato.
Ancora oggi a Bangkok, calda e travolgente come il vento del sud, dove ritorno spesso, cerco qualche spicciolo in tasca per un Khao Pad, un tortino di riso che adoro, ma ne lascio molti di più ai piccoli bambini che mi tendono la mano, affinchè possano comperarsi una bicicletta e andare a scoprire il quartiere. Ma loro hanno solo fame e sete di acqua pura. Hanno fame di vita. Ed io, che di vita ne ho già vissuta abbastanza, ho deciso di regalare loro quella che mi resta. Morirò qua con loro, in qualche parte del mondo, tra i ricchi o i poveri, i bianchi o i neri, in mezzo all'odore pungente di curry e spezie o sotto ad un cielo minaccioso, come un gocciolante serbatoio di latta consunta, non so dove mi troverò quel giorno. Ma di una cosa sono certa. Lo avrò girato tutto questo mondo meraviglioso. In fondo sono bastati ottanta giorni a qualcuno, ed io ce la posso fare.
Oggi sono trascorsi quasi tredici mesi dalla mia diagnosi infausta e la tac parla chiaro.
Non segni di malattia. Miracolo? Dio? Tu chiamalo come vuoi, io la chiamo energia.
Allora diamoci da fare, che in Brasile ci aspetta il nostro centro per i bambini orfani, e poi Las Vegas che è poco più su. Faremo un giretto a Bali, dove il cielo sembra grattato con la paglietta, e nella baia di Sidney, a spolverare i colori tenui del tramonto. Una tappa tra le nubi squarciate dai grattacieli di Hong Kong e tra le luci danzanti delle candele della Pechino by night. Lo voglio tutto questo mondo di vita.
Guglielmina, detta Mina, è la proprietaria del colosso mondiale Astoria vini, ed è stata una mia paziente.
La ringrazio immensamente per avermi consentito di scrivere la sua storia, che nasconde, forse, il segreto della sua sopravvivenza.
Siate grati al mondo per le bellezze che vi offre
Abbeveratevi di cultura
Nutritevi di sapere
Mangiate quanti più libri potete e viaggiate, viaggiate, viaggiate se potete
E se non potete,
visitate un museo,
un piccolo borgo,
una mostra,
una fiera,
un teatro,
una libreria.
Troverete un mondo,
proprio là.
(Fanni G.)