Sono ricca, anzi ricchissima



L'anello d'oro bianco con il solitario impetuoso, domina sul grande tavolo in rovere, immobile nella sua scatoletta aperta.
Brilla così tanto che un arcobaleno di luci si riflette sul muro della cucina. Sembra un caleidoscopio. Non ho il coraggio di metterlo al dito. Varrà una fortuna. Se lo dovessi perdere non me lo perdonerei. Non vi nascondo un'espressione sognante fino a ieri sera, quando ho trovato il pacchettino sotto al lenzuolo del mio letto di ospedale. E' stata un'emozione intensa, potente. Ha increspato la superficie del mio cuore e poi è esplosa. Ma punto. Finito là. Oggi non provo più nulla. Sento solamente una grande tristezza farsi largo tra le mille emozioni  che intasano la bocca del mio stomaco.
Perchè dai diamanti non nasce nulla.
Lo diceva Serena Dandini nel suo splendido libro. E lo diceva anche mio padre, prima che morisse.
Mai come in questo momento trovo che avesssero pienamente ragione.

Sono a casa da poche ore. Il mio ricovero in ospedale e' stato lunghissimo. Oggi ho contato ogni minuto che rotolava, come se fosse stato un granello delle tante ore e dei duri giorni più lunghi della mia vita, perché ventinove ne sono passati in realtà, chiusa tra quattro mura anonime e grigie.
Entri sana ed esci malata. Non è stato un bell'investimento. Ho il cancro.
Mi siedo fiacca sulla comoda poltroncina del mio giardino incantato. Lo definisco così, "coccolo" direbbe mia madre, tante sono le piantine coltivate con amore e devozione in ogni "aiuoletta".
Mi ha insegnato mio padre. Prendi qualche piantina e qualche seme o dei bulbi, annaffiali, curali, amali, parla loro, concimali, riempili di attenzioni, senti il calore salire dal terreno.
E' nuova l'emozione che provo. E' improvvisa, come uno tsunami mi cattura.
Oggi sento di essere diventata ricca, anzi, ricchissima. No, non per il diamante.
Sono tornata a casa, e questo è il primo grande tesoro che ho ritrovato nella mia isola. I medici avevano detto a mia madre che probabilmente mi avrebbero trasferito in una struttura appropriata, una specie di "casa senza dolore". Me la immaginavo piena di persone sofferenti, coperte da farmaci anestetici, oppiodi e barcollanti nel vuoto, invece erano tutte serene e tranquille. Come plagiate da una stranissima armonia. Là, non c'erano diamanti. Ci sono passata stamattina, per rendermi conto della stanza che avevano riservato a me. Ma non sono ancora pronta per andarci. Ho incontrato un uomo, era pallido e quasi bello. Gli zigomi ossuti erano ammorbiditi dalle basette. L'ho osservato bene. Fissava un albero in giardino, un antico ulivo secolare e delle rose color crema. Mi ha rapito la sua espressione sognante, sotto a sopracciglia squisitamente arcuate. Era la stessa espressione della mia, quando ho trovato l'anello. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Aveva una bocca ben disegnata, il naso dritto e sottile ma un po' più lungo rispetto ai canoni classici. Ad un certo punto si è avvicinato a me. "Sei così graziosa che è impossibile non notarti". Eppure ero io che lo fissavo. Ero lusingata dall'estatica ammirazione che avevo suscitato. Pensavo alla sua vita breve, a chi lo avrebbe accompagnato alla morte, a come faceva a sopportare ogni giorno in quella casa. E pensavo a me, così sciatta e debole, magra e sbiadita, annacquata, senza fronzoli nè gioielli o trucco, una donna che lui aveva trovato "graziosa".
Mi avvicinai a lui e glielo chiesi, timidamente. "Come fa a sopportare tutto questo?".
Mi accompagnò fuori. Intorno alla casa c'era un giardino curatissimo. "Osserva la natura, i fiori, gli alberi intorno a te", mi disse. "È incredibilmente quieto oggi. Assapora la libertà. È questo il lusso. Sedersi, guardare con gli occhi, pensare, respirare. Per tutto il tempo necessario. Non c'è sveglia, ne' fretta. Non c'è frenesia nei gesti, non ci sono incombenze. Non c'è auto da guidare, luogo dove correre. Non ci aspetta nessuno, perché qui siamo in una tremenda fantastica compagnia di noi stessi. E' una grande fortuna. Qua siamo tutti ricchi.

Poi ritorno improvvisamente dove sono. A casa mia, stesa a terra dolorante. Sono inciampata.
Mi alzo. Cammino a stento trascinando polpacci pesantissimi. Avanzo. Riesco. I miei muscoli sono quasi scomparsi e mai avrei pensato che mi reggessero ancora. Sono davvero fortunata. Fisso il mio giardino. Il mio "coccolo giardino incantato". Stacco una pesca dal mio meraviglioso albero. Cosa c'è di più lussuoso di poterlo fare ? Poter mangiare, assaporare, allungare un braccio, gustare una succosa pesca naturale, masticare, deglutire. Vi sembra banale? Scontato? Per me non lo è , e te ne accorgi quando il destino infame ti ruba la nuda proprietà del tuo corpo.
Guardo in là, verso i fiori colorati che ho piantato in primavera. E' un giardino fiabesco. Magico contenitore di gioie e simboli universalmente positivi. E' così, per magia, che un fiore comunica. Un diamante non ha la stessa facoltà. Ed è un modo estremamente prezioso per connettersi con chi non c'è più.







(Questo racconto, tratto da fatti realmente accaduti, è dedicato a mio padre, quell'uomo, che oggi avrebbe compiuto 71 anni, e che mi ha insegnato che la semplice bellezza della vita non è quella di un corpo vestito di gioielli, ma quella di un giardino, un terrazzo o un balcone pieno di fiori)

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