Radioterapia, altro che musica.

È' imponente e maestosa tanto quanto un solenne monumento, e se penso agli effetti distruttivi di questa macchina, mi verrebbe da assegnarle un'aura mitica, giunonica.
Sono stesa qua sotto da pochi secondi, prima che il bombardamento abbia inizio. Un tecnico dal viso cereo e spigoloso come il mio, mi ha fatto accomodare sul lettino marmoreo, sotto a due fasci di luce incrociati secondo una esattezza bizantina. Soffoco continui sospiri. È ansia.
Un altro radio terapista si avvicina imperturbabile. Odora di fumo. Accendino e sigarette sono ormai articoli sovversivi nella mia visione del mondo, ah come si cambia.
Se il medico dalla zazzera piena di capelli rossi, non mi avesse detto che la cosa sarà veloce e indolore, conterei questi secondi come eterni e pesanti come una sbarra di acciaio. Sento i miei occhi inquieti, ispezionano intorno a me, in questo luogo ad alta tecnologia, dove medici radiologi, radioterapisti e infermieri sono tutti qua per me, o meglio per il mio cancro. È come in una battaglia, l'esercito è pronto, io in prima linea.
In questo ultimo periodo, la mia vita è stata uno slalom tra ospedali. Ricoveri, chemioterapia, ora qua, lontano da casa, perché nel mio piccolo paese di provincia, non esiste un solenne massiccio distruttore di cancri.
Ho paura.
Non quella paura che ti fa scappare, non la paura del dolore, non la paura di una pagina di referto istologico che ciondola inerte fra le dita,  bensì la paura di ciò che sarà domani del mio corpo bombardato, per questa gente "ennesimo corpo", vittima di uno sparo indolore, in un unico punto.
Mi sento come ridotta alla adimensionalita' di un punto geometrico di pura angoscia.
 Ho firmato, non posso fare marcia indietro, eppure dentro di me, risuona quel numerino di carta, che all'ingresso ti danno prima di chiamare il tuo nome, con un suono acerbo di un "glin" computerizzato. Quel suono mi fa deragliare. È' il numero del tuo turno. Sei la settantaquattresima persona oggi. Chi pensavi di essere ? Sabrina Mendacci non la conosce nessuno. Il settantaquattro invece si. È singolare, fuori da comune, essere un numero. Si perché spesso mi sono immaginata di essere un insetto, una farfalla, un animale, un gatto, un albero, un melograno, ma un numero mai.
Che strano, c'è una musica in sottofondo, è' una radio non so che, ma la canzone è davvero bella. Chiudo gli occhi nello stesso istante in cui il medico mi dice "ferma così, cinque minuti ed è tutto finito" . Chissà se la canzone finirà in tempo o se finirà prima questa macchina possente.
Volo via, nel verde del mio giardino di rose, sento il loro profumo, mi tuffo con il naso tra i petali, guardo le spine, insidie in cotanta bellezza. È quasi divino il mio distacco.
" Finito signora!". E ritorno alla realtà, tra le pagine della mia vita, sparpagliate a ventaglio, dove la paura ha lasciato il posto alla serenità e alla convinzione che quanto sto affrontando, prolungherà la mia vita in eterno.
La canzone non è finita, continua nella mia testa, non c'era nessuna radio accesa.
Quanto può la mente umana.
E me ne torno a casa, con me, solo il piacevole ronzio del traffico sotto la pioggia.


Ogni donna è una persona speciale, che deve essere accompagnata passo passo lungo tutto il percorso terapeutico e deve trovare nei medici e nel personale a cui si affida delle persone attente, che prendono a cuore anche e soprattutto le ansie e i timori di chi affronta questa malattia.

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