Locked in (inlucchettata dentro)
(Marta è' ricoverata presso il reparto "Stati Vegetativi" di una RSA dal 2008. Il Dott.X è' convinto che lei pensi, senta e veda. Il Dott. X è' suo marito. )
Il bip bip del monitor accompagna questi interminabili giorni e lunghissime notti. Lo sento ritmico il mio cuore, tenuto attivo da questa macchina dispensatrice di vita.
Il mio respiro e' fluido, cremoso. Gli arti sono come pietre. Macigni immobili sbattuti dalle onde, come le mie ossa stanche.
In questa stanza asettica, di qua dal vetro, mi girano, mi spogliano, mi vestono, cambiano i sacchetti sulla mia pancia. Chiacchierano, ridono, commentano. Qualcuno mi parla, ma troppo piano e non sento. Indecifrabili assurde domande, come si fa con le bambole di pezza. I miei occhi vedono soltanto un muro scuro e qua e là qualche stellina luminosa.
Tra il letto e la spondina gelata, la mia mano e' al caldo, sotto un lenzuolo che probabilmente è appena uscito dalla lavanderia. È' un tocco morbido, rassicurante. Come quello di lui, dalle mani grandi. La sua ombra impenetrabile mi affascina terribilmente. Mi cattura. Forse perché il silenzio lo contraddistingue come contraddistingue anche me. Di lui, vedo solo un'ombra intensa, aperta in un chiarore solo a me percepibile. Ho scoperto in lui una semplicità e una ingenuità abbaglianti.
Puntualmente mi visita, mi parla, credo mi sorrida anche. Parla a se stesso, e dubito che ci sia qualcun altro qua dentro, capace di confrontarsi con se stesso per quello che è' esattamente. Lui lo fa ed io lo ascolto. Lo ha insegnato anche a me. Io ho imparato a farlo da quando sono inlucchettata in questo corpo.
Forse è' vestito di bianco. Si, ne sono sicura. La luce che emana il suo corpo riverbera sul mio volto opaco. Deve avere poco più della mia età. Forse.
Un mese fa ho compiuto cinquant'anni. Ricordo bene la mia festa e tutti gli invitati che non si sono presentati. Che tristezza. Ma è' la vita e si semina quello che si raccoglie. E a me la vita ha riservato questa sorpresa la sera della mia festa. Una assurda paralisi. È' che a cinquant'anni il corpo diventa anarchico. Vuole fare le cose che vuole lui. Ti costringe a ingrassare e a gonfiarti, smette di funzionare regolarmente, non accetta più i ritmi di prima. Si paralizza e ti paralizza. Come adesso. E se mentre le rughe avanzano, l'anima indietreggia e vuole tornare bambina io voglio tornare viva , con tutte le mie rughe e il corpo anarchico.
Vero dottore? Dove sei ?
Non sento. Non ti sento. Qua c'è un silenzio nucleare come su un campo di battaglia abbandonato.
Lui lo sa che io sono viva. Lui è nessun altro.
Nessuno immagina che io mi accorga di tutto ciò che avviene attorno a me. Per tutti sono una pianta da nutrire, carne e ossa da lavare, girare, disinfettare, medicare. Per tutti, meno che per lui. Vorrei solo poter dormire, per sognare di non essere io. Ditemi che non sono io.
È' vero. Nel mio inaccessibile mondo interiore non provo alcun dolore, ma il cervello mi formicola senza sosta. Pensa. Ed è un pensare doloroso.
Quando mi sveglierò da questo coma? Dimmelo tu camice bianco.
Non li vedo i visi languidi e i toni grigi ma li percepisco ogni qual volta si avvicinano al mio letto con la compassione di chi raccoglie l'ultima stella alpina rimasta sulla montagna.
Poi, sempre all'improvviso, come un temporale di fine agosto, ti avvicini. Le tue mani sono cuscinoni a forma di mani. Soffici, tenere mi visitano con dolcezza e mi fanno sentire ancora viva. Perché io sono ancora viva vero dottore?
Scavo il mio piccolo pozzo di illusione, non appena l'infermiera si avvicina per aspirarmi. Mi sembra di soffocare ed è' in quel momento che assaporo tutto l'amaro della mia condizione da inlucchettata. Già, perché in questo corpo che non sento più mio, sono imprigionata da quasi trenta giorni. Nel materasso, la mia figura lunga, spossata, spessissima e gonfia, è' rimasta impressa come un calco di gesso. Riconosco incessante il flusso dell'ossigeno dal muro dietro la mia testa. Il gorgoglio dell'acqua dell'umidificatore mi fa compagnia trasportandomi con fatica in un altro mondo.
Non so cosa sia meglio. Aprire gli occhi e cavalcare la vita vissuta solo dagli altri o lasciare che la morte apparente la calpesti? Ah se solo riuscissero a capire che sono bloccata in questo corpo inespressivo.
Poi d'un tratto tu sei di nuovo qui. Come la luce della luna quando illumina le tenebre.
"Vado via", mi sussurri" Ci vediamo fra tre giorni Marta. Al mio prossimo turno".
E come se si tagliasse un intero bosco lasciando in piedi un solo albero ed io sono quell'albero, comincio a contare le ore, i minuti ed i secondi al suo ritorno. Come in una intensa atmosfera solitaria di chi fino a un minuto prima e' stato in dolcissima compagnia.
Il bip bip del monitor accompagna questi interminabili giorni e lunghissime notti. Lo sento ritmico il mio cuore, tenuto attivo da questa macchina dispensatrice di vita.
Il mio respiro e' fluido, cremoso. Gli arti sono come pietre. Macigni immobili sbattuti dalle onde, come le mie ossa stanche.
In questa stanza asettica, di qua dal vetro, mi girano, mi spogliano, mi vestono, cambiano i sacchetti sulla mia pancia. Chiacchierano, ridono, commentano. Qualcuno mi parla, ma troppo piano e non sento. Indecifrabili assurde domande, come si fa con le bambole di pezza. I miei occhi vedono soltanto un muro scuro e qua e là qualche stellina luminosa.
Tra il letto e la spondina gelata, la mia mano e' al caldo, sotto un lenzuolo che probabilmente è appena uscito dalla lavanderia. È' un tocco morbido, rassicurante. Come quello di lui, dalle mani grandi. La sua ombra impenetrabile mi affascina terribilmente. Mi cattura. Forse perché il silenzio lo contraddistingue come contraddistingue anche me. Di lui, vedo solo un'ombra intensa, aperta in un chiarore solo a me percepibile. Ho scoperto in lui una semplicità e una ingenuità abbaglianti.
Puntualmente mi visita, mi parla, credo mi sorrida anche. Parla a se stesso, e dubito che ci sia qualcun altro qua dentro, capace di confrontarsi con se stesso per quello che è' esattamente. Lui lo fa ed io lo ascolto. Lo ha insegnato anche a me. Io ho imparato a farlo da quando sono inlucchettata in questo corpo.
Forse è' vestito di bianco. Si, ne sono sicura. La luce che emana il suo corpo riverbera sul mio volto opaco. Deve avere poco più della mia età. Forse.
Un mese fa ho compiuto cinquant'anni. Ricordo bene la mia festa e tutti gli invitati che non si sono presentati. Che tristezza. Ma è' la vita e si semina quello che si raccoglie. E a me la vita ha riservato questa sorpresa la sera della mia festa. Una assurda paralisi. È' che a cinquant'anni il corpo diventa anarchico. Vuole fare le cose che vuole lui. Ti costringe a ingrassare e a gonfiarti, smette di funzionare regolarmente, non accetta più i ritmi di prima. Si paralizza e ti paralizza. Come adesso. E se mentre le rughe avanzano, l'anima indietreggia e vuole tornare bambina io voglio tornare viva , con tutte le mie rughe e il corpo anarchico.
Vero dottore? Dove sei ?
Non sento. Non ti sento. Qua c'è un silenzio nucleare come su un campo di battaglia abbandonato.
Lui lo sa che io sono viva. Lui è nessun altro.
Nessuno immagina che io mi accorga di tutto ciò che avviene attorno a me. Per tutti sono una pianta da nutrire, carne e ossa da lavare, girare, disinfettare, medicare. Per tutti, meno che per lui. Vorrei solo poter dormire, per sognare di non essere io. Ditemi che non sono io.
È' vero. Nel mio inaccessibile mondo interiore non provo alcun dolore, ma il cervello mi formicola senza sosta. Pensa. Ed è un pensare doloroso.
Quando mi sveglierò da questo coma? Dimmelo tu camice bianco.
Non li vedo i visi languidi e i toni grigi ma li percepisco ogni qual volta si avvicinano al mio letto con la compassione di chi raccoglie l'ultima stella alpina rimasta sulla montagna.
Poi, sempre all'improvviso, come un temporale di fine agosto, ti avvicini. Le tue mani sono cuscinoni a forma di mani. Soffici, tenere mi visitano con dolcezza e mi fanno sentire ancora viva. Perché io sono ancora viva vero dottore?
Scavo il mio piccolo pozzo di illusione, non appena l'infermiera si avvicina per aspirarmi. Mi sembra di soffocare ed è' in quel momento che assaporo tutto l'amaro della mia condizione da inlucchettata. Già, perché in questo corpo che non sento più mio, sono imprigionata da quasi trenta giorni. Nel materasso, la mia figura lunga, spossata, spessissima e gonfia, è' rimasta impressa come un calco di gesso. Riconosco incessante il flusso dell'ossigeno dal muro dietro la mia testa. Il gorgoglio dell'acqua dell'umidificatore mi fa compagnia trasportandomi con fatica in un altro mondo.
Non so cosa sia meglio. Aprire gli occhi e cavalcare la vita vissuta solo dagli altri o lasciare che la morte apparente la calpesti? Ah se solo riuscissero a capire che sono bloccata in questo corpo inespressivo.
Poi d'un tratto tu sei di nuovo qui. Come la luce della luna quando illumina le tenebre.
"Vado via", mi sussurri" Ci vediamo fra tre giorni Marta. Al mio prossimo turno".
E come se si tagliasse un intero bosco lasciando in piedi un solo albero ed io sono quell'albero, comincio a contare le ore, i minuti ed i secondi al suo ritorno. Come in una intensa atmosfera solitaria di chi fino a un minuto prima e' stato in dolcissima compagnia.