Dietro le sbarre
Da quando la mia casa è diventata una prigione, passo le mie giornate in soffitta, ad uccidere le mie vecchie bambole. Le spoglio, le vesto, le spoglio, le vesto, le spoglio e le rivesto, poi... Le uccido. Prendo un filo di ferro e le appendo ai rami di fico del mio giardino.
Tutti pensano che sia pazza, nessuno vede la sofferenza per la mia malattia. Neanche attraverso le mie bambole. Nemmeno mia madre.
Quando sale le scale per raggiungermi in soffitta, riconosco il suo passo appesantito dai chili di troppo che deve portarsi dietro. Quello di mia madre è un passo sofferto e patito ma io non le ho mai chiesto perché non vuole bene a se stessa. Non è' questo che voglio imparare. E invece ho imparato solo questo. A volermi male. Per questo la malattia sta vincendo.
Tutt'altro che sobrio, il suo passo intemperante è' una esagerazione come tutti i suoi lamenti.
Il rituale è' sempre lo stesso. Arriva affannata con il battito tachicardico nel sottotetto e passa a malapena oltre la piccola porta che divide la soffitta in due parti. È' grassa, ma non lo ammette. Controlla in silenzio il cesto di bambole, le prende in mano una ad una, hanno tutte il collo mozzato, le conta, mi chiede perché lo faccio, io non le rispondo, lei gira le spalle, abbassa lo sguardo e torna giù. Tutti i santi giorni. Un rituale che si ripete come l'assassinio delle mie bambole, da sei lunghissimi eterni mesi.
Dico che è' lei la pazza. Non parla. Non parlo.
Tutti i santi giorni le mie bambole ricevono più attenzioni di me. Da mia madre.E' per questo che le uccido.
Ieri sono stata ai controlli.
In oncologia sono tutti molto gentili ma la misantropia che mi distingue allontana le persone più della mia malattia. Il mio corpo è l'involucro cerato della sofferenza, che viene confusa per pazzia.
Merito di mia madre, mi ha insegnato solo questo.
Stai dentro, non uscire, vestiti, prendi le medicine, vai dal dottore. Curati. Magari mi dicesse questo.
Silenzi interminabili e rituali amari nella follia. O tragici lamenti. Questo fa mia madre.
Mai come oggi mi sento come dietro le sbarre, in prigione. Aiutatemi ad uscire. Vi prego.
La mancanza di comunicazione tra i pazienti e i loro cari porta alla disperazione, alla depressione.
Il gruppo di mutuo-aiuto serve anche a questo. Ad aiutare tutta la famiglia a comprendere la malattia, a far fronte alle difficoltà, a supportare e sopportare i familiari malati.
Quando in una famiglia sopraggiunge la malattia, non bisogna chiedersi cosa non si è fatto per stare così male,ma cosa si può fare per stare meglio. E non aver paura di chiedere aiuto.
Nel momento in cui si chiede aiuto... dal tunnel si è quasi fuori.
La parte più difficile ma magnifica del mio lavoro,
è entrare nella mente delle persone.
Pazienti o parenti che siano
tutti hanno bisogno di aiuto
Nella malattia più che mai.