Se per la gioia camminerai ad un metro da terra, niente ti farà inciampare


E’ proprio in questo mese di agosto che ci piace pensarci in vacanza, o almeno a ritmi rallentati, con gli orologi che scorrono lentamente, gli smarthphones spenti, o usati a intermittenza e molta più calma nell’usare i social networks. Ovvero: vivere un periodo di cambiamento rispetto alla solita routine permette di riflettere sul fenomeno della metamorfosi nella natura ma anche nella società. Aprirsi e accogliere la mutazione richiede sicuramente un lavoro profondo per abbandonare definitivamente prevenzioni, luoghi comuni e preconcetti secolari”.

Lo scrive il direttore Antonella Antonelli sul settimanale Marie Claire di Agosto.
E se proprio la settimana di ferragosto ci capitasse di trascorrerla ricoverati in ospedale?
Dovremmo comunque darle ragione. Perché vacanza non significa solo mare, sabbia, monti o città.

Apro gli occhi alle prime luci dell’alba. Gli antidolorifici hanno cessato il loro effetto.
Per un istante resto immobile, avvolta nel torpore delle coperte che odorano di lana pura, gli occhi fissi alla finestra. E’stata una notte fredda.
Ho volutamente lasciato la tapparella alzata per godere del primo spettacolo che il cielo mi può offrire. L’incantevole azzurro pastello spennellato di rosa, tra il bianco delle nuvole, oggi mi sembra ancora più unico. Gli assegno un’aurea mitica e dimentico il mio dolore.
Mi alzo lentamente. La mia bassa pressione sembra vincere sulla volontà di fare presto e raggiungere la finestra con gli occhi ancora impiastricciati. Desisto. Mi reggo sul paletto della flebo, incespicando nei fili dei deflussori. Il cuore mi batte sordo in gola.
Apro la ribalta del finestrone. Una ventata di aria pura mi fa fare un respiro profondo. Ad occhi chiusi è ancora più esilarante.
La natura mi mangia, tanto è bella.
La bellezza rigogliosa della natura mi sembra un antidoto all’esistenza misera e al dolore.
Il campo, fuori, manda una luce tutta sua, come se i raggi del sole emanassero dalle spighe, che fremono alla brezza leggera e dorata.
“Il sole accompagna i profumi. Prendi il gelsomino per esempio. All’alba la sua fragranza è più intensa, diversa da quella lieve di mezzogiorno, ma dopo il tramonto, quando il sole è solo un ricordo, il fiore emana la sua vera anima. Non puoi confonderli, non è possibile.” (1)
Mi stringo nelle spalle, l’aria è fredda.
E’ strano come la mente possa andare oltre gli alberi, dove gli occhi non vedono, oltre l’orizzonte, oltre.
Ogni ricovero in ospedale dovrebbe essere una grande esperienza di riflessione e cambiamento. Ogni giorno, ogni minuto, ogni singolo istante, qui, decido di viverlo appieno ma secondo distillate emozioni. Con altri occhi, con altro spirito, cogliendo l’opportunità che mi regala.
Sento odore acre di disinfettante farsi largo nel lungo corridoio ed entrare nella mia stanza. Contrasta nelle mie narici. Chiudo la porta. La riapro. Inspiro. Sa di asettico, di alcool. E’ parte integrante di questa “vacanza”. E’ “l’odore di ospedale” che fin da bambini si associa inconsapevolmente alla corsia. Lascio la porta aperta affinché mi catturi.
E’ strano come il digiuno ti renda così sensibile e vulnerabile agli odori, ai profumi. E’ proprio vero che i nostri sensi entrano in competizione.
La vita mi ha messo alla prova ma, come scrive Cristina Caboni nel libro “Il sentiero dei profumi”, i profumi possono essere la nostra strada.
Lo cerco, ogni molecola fa parte di me, sento quello che mi suggerisce. Il profumo è un sentiero e può farci ritrovare noi stessi.
Sul tavolino laccato di rosa, una tazza di tè. Il primo, dopo una settimana di digiuno.
Ha un’aroma intensa, chiudo gli occhi. Una nota agrumata mi trasporta in un luogo esotico.
Vago nel ricordo persistente della vacanza appena trascorsa all’Elba. La mia memoria olfattiva mi catapulta là, tra i ricordi gioiosi della sabbia calda.
Sorseggio. Piano.
C’è silenzio oggi, e pace. Solo l’eco dei carrelli delle infermiere riesce a distrarmi, e qualche passo felpato. Qui è tutto ovattato, mi sento al sicuro, avvolta.
Le operatrici cambiano la biancheria. Rifanno il letto secondo un rituale che si ripete tutti i giorni, da anni.
Il profumo di pulito aleggia nella stanza e si fa strada fino a qua. Sono seduta nell’angolo della stanza, a farmi baciare il viso dai raggi caldi del sole, che bussa alla finestra.
E’ un profumo intenso, lenitivo, calmante, rassicurante, quello delle lenzuola pulite. E’ penetrante.
Il bianco abbagliante dal candeggio riflette tutta la sua luminosità in questi pochi metri quadrati. Mi lascio avvolgere. Adagio la testa pesante sul cuscino, piano. E’ potente il suo profumo. Ipnotico.
Cerco l’energia necessaria per nuovi progetti. La voglio.
Lo stridulo gommoso delle suole di un paio di zoccoli entra nella mia stanza. È la signora delle pulizie con il mocio per i pavimenti bagnato di antisettico e amuchina. Dal pavimento si leva ora un sentore acre di umidità. Un odore di passato, di cose perdute, di vecchio. Un carico di ricordi mi piomba addosso. Ricordi dell’aperta campagna in cui vivo, del muschio del mio giardino, delle foglie cadute lasciate marcire sul bordo del fiume dietro casa. Il mescolarsi di molecole profumate e odori sgradevoli è questo strano risultato. La signora dà una seconda passata mentre il sole allaga il muro dietro al mio letto. Eccolo, in pochi istanti, il profumo. Diventa quasi una delicata fragranza. E’ l’effetto del sole e dell’aria pura che entra dalla finestra ancora aperta.
Ho spento il cellulare, l’ipad e la tv. Ho tolto l’orologio dal polso. Penso. Pensateci. Il ricovero in ospedale è una grande opportunità per entrare in contatto profondo col nostro io. Lasciamoci cullare da tutto ciò che non appare, ma che è . Perché questa “vacanza” è un addestramento dell’anima, che comunica con i sensi, e parla a noi..


(1) Cristina Caboni. Il Sentiero dei profumi. Ed. Garzanti, 2014



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