Invidia
E’ una strana orribile sensazione quella che mi pervade.
Mi sento come se fossi ricoperta di cellophane, stretto, soffocante. Come se avessi la testa in un sacchetto, non posso respirare. Come se il mio corpo fosse di sola carne e nessun osso.
La vista è offuscata da un leggero fumo nella stanza. E’ quello che esce dalla mascherina dell’aerosol che forse l’infermiera mi ha messo senza che me ne accorgessi.
Non riesco a muovere le dita delle mani, sono talmente gonfie che mi fanno male. Lo dico alla mia vicina di letto, stesa a leggere indisturbata.
Non so perché mi lamento con lei. Non l’ho mai fatto e vago nell’assurda ipotesi che mi possa aiutare. I suoi sguardi, i suoi silenzi, nascondono qualche inconfutabile segreto che non so.
“Stai tranquilla”, mi dice dolcemente. “Tutto passerà”. Ha la voce bassa, dolcissima.
E’ così rassicurante, che mi sembra già la mia amica del cuore. Perché io non ce l’ho un’amica del cuore. Voglio che sia lei la mia amica del cuore. La vorrei con tutto il cuore un’amica del cuore.
Prendo lo specchio dentro al cassetto e mi guardo il viso: chi è quel mostro? Non mi riconosco più.
Mi volto di lato verso la mia migliore amica, magra, bella, con un colorito sano, invidiabile. Mi faccio catturare dalla sua grazia mentre tenta di mettersi seduta. Deve provare uno strano dolore al sedere perché va a rallentatore sulla sedia scomoda dove c’è una ciambella di gomma ad attutire.
Insomma io, un grasso pallone, lei, una raffinata acciughina. La invidio.
Come la invidio.
Ma la mia migliore amica non può neanche lontanamente immaginare quanto male io stia. Lei si alza a fare la pipì menre io mi ritrovo con un maledetto catetere.
Lei fa la cacca tutte le mattine, lo capisco dal deodorante al profumo di orchidea che spruzza in bagno prima di uscire. Io scarico solo con il clistere. Lei cammina, io no. Non può capire cosa significhi avere la pancia piena di canne, lei che la pancia ce l’ha piatta come una modella da passerella.
Che fa?. Si trucca leggermente. Spennella di rimmel le ciglia già lunghe e folte. Leggiadra, diva, si cambia. Indossa una morbida camicia da notte sopra al ginocchio mentre io vesto un secco camice bianco da sala operatoria, macchiato di sangue e sudato.
Invidio terribilmente la mia migliore amica.
Cammina per la stanza come una libellula, si spazzola i capelli lunghi. Mi regala dei bellissimi sorrisi e delle carezze tenere sul braccio.
E’ di poche parole ma i suoi minuti gesti sono tanto per me.
Eppure la invidio. Tantissimo.
Entrano i medici.
Sono tutti a semicerchio sul mio letto.
“Sta andando molto bene signora. I valori stanno rientrando nella norma, vedrà che oggi con la terapia comincerà anche a sgonfiarsi e la prossima settimana andrà a casa. L’intervento è andato davvero bene.
Un’altra settimana?
Giro la testa verso la mia vicina di letto che mi fa spallucce e strizza l’occhiolino facendomi cenno di ok con il pollice.
Non immaginate la carica che i suoi gesti magici mi danno.
Sicuramente lei, la dimetteranno oggi, verrà a prenderla il suo principe azzurro e la prossima settimana, mentre io sarò a casa convalescente, ancora come una mongolfiera, lei sarà in un’isola delle Maldive a godersi il sole in topless.
Invidia.
I medici si spostano davanti al suo letto. Sempre in geometrico semicerchio.
Un silenzio tombale riempie ogni spazio di questa luminosa stanza.
Che succede?
Le facce dei medici si fanno subito cupe, gli occhi sono tutti abbassati su di lei.
“L’Hospice la aspetta oggi pomeriggio. Provvederemo al trasferimento in ambulanza verso le 14”.
“Grazie”, risponde timidamente con una vocina senza tono.
Hospice?
Escono i medici dalla stanza improvvisamente gelida e buia.
Stavolta è la mia migliore amica a girarsi dalla mia parte. Il suo sguardo mi appare terribilmente impaurito: “l’hospice è una casa per malati terminali”, sottolinea tremando.
In un secondo il sangue si gela nelle mie vene. Ho un nodo soffocante alla gola, vorrei urlare le mie scuse, vorrei saltare giù da questo maledetto letto e abbracciarla.
“Stai tranquilla, tutto passerà”, le dico con le lacrime agli occhi, ed un senso di colpa che non potete immaginare.
L’invidia, questo stupido sentimento corrosivo. Antitesi della bontà. Male incurabile.
Mi sento come se fossi ricoperta di cellophane, stretto, soffocante. Come se avessi la testa in un sacchetto, non posso respirare. Come se il mio corpo fosse di sola carne e nessun osso.
La vista è offuscata da un leggero fumo nella stanza. E’ quello che esce dalla mascherina dell’aerosol che forse l’infermiera mi ha messo senza che me ne accorgessi.
Non riesco a muovere le dita delle mani, sono talmente gonfie che mi fanno male. Lo dico alla mia vicina di letto, stesa a leggere indisturbata.
Non so perché mi lamento con lei. Non l’ho mai fatto e vago nell’assurda ipotesi che mi possa aiutare. I suoi sguardi, i suoi silenzi, nascondono qualche inconfutabile segreto che non so.
“Stai tranquilla”, mi dice dolcemente. “Tutto passerà”. Ha la voce bassa, dolcissima.
E’ così rassicurante, che mi sembra già la mia amica del cuore. Perché io non ce l’ho un’amica del cuore. Voglio che sia lei la mia amica del cuore. La vorrei con tutto il cuore un’amica del cuore.
Prendo lo specchio dentro al cassetto e mi guardo il viso: chi è quel mostro? Non mi riconosco più.
Mi volto di lato verso la mia migliore amica, magra, bella, con un colorito sano, invidiabile. Mi faccio catturare dalla sua grazia mentre tenta di mettersi seduta. Deve provare uno strano dolore al sedere perché va a rallentatore sulla sedia scomoda dove c’è una ciambella di gomma ad attutire.
Insomma io, un grasso pallone, lei, una raffinata acciughina. La invidio.
Come la invidio.
Ma la mia migliore amica non può neanche lontanamente immaginare quanto male io stia. Lei si alza a fare la pipì menre io mi ritrovo con un maledetto catetere.
Lei fa la cacca tutte le mattine, lo capisco dal deodorante al profumo di orchidea che spruzza in bagno prima di uscire. Io scarico solo con il clistere. Lei cammina, io no. Non può capire cosa significhi avere la pancia piena di canne, lei che la pancia ce l’ha piatta come una modella da passerella.
Che fa?. Si trucca leggermente. Spennella di rimmel le ciglia già lunghe e folte. Leggiadra, diva, si cambia. Indossa una morbida camicia da notte sopra al ginocchio mentre io vesto un secco camice bianco da sala operatoria, macchiato di sangue e sudato.
Invidio terribilmente la mia migliore amica.
Cammina per la stanza come una libellula, si spazzola i capelli lunghi. Mi regala dei bellissimi sorrisi e delle carezze tenere sul braccio.
E’ di poche parole ma i suoi minuti gesti sono tanto per me.
Eppure la invidio. Tantissimo.
Entrano i medici.
Sono tutti a semicerchio sul mio letto.
“Sta andando molto bene signora. I valori stanno rientrando nella norma, vedrà che oggi con la terapia comincerà anche a sgonfiarsi e la prossima settimana andrà a casa. L’intervento è andato davvero bene.
Un’altra settimana?
Giro la testa verso la mia vicina di letto che mi fa spallucce e strizza l’occhiolino facendomi cenno di ok con il pollice.
Non immaginate la carica che i suoi gesti magici mi danno.
Sicuramente lei, la dimetteranno oggi, verrà a prenderla il suo principe azzurro e la prossima settimana, mentre io sarò a casa convalescente, ancora come una mongolfiera, lei sarà in un’isola delle Maldive a godersi il sole in topless.
Invidia.
I medici si spostano davanti al suo letto. Sempre in geometrico semicerchio.
Un silenzio tombale riempie ogni spazio di questa luminosa stanza.
Che succede?
Le facce dei medici si fanno subito cupe, gli occhi sono tutti abbassati su di lei.
“L’Hospice la aspetta oggi pomeriggio. Provvederemo al trasferimento in ambulanza verso le 14”.
“Grazie”, risponde timidamente con una vocina senza tono.
Hospice?
Escono i medici dalla stanza improvvisamente gelida e buia.
Stavolta è la mia migliore amica a girarsi dalla mia parte. Il suo sguardo mi appare terribilmente impaurito: “l’hospice è una casa per malati terminali”, sottolinea tremando.
In un secondo il sangue si gela nelle mie vene. Ho un nodo soffocante alla gola, vorrei urlare le mie scuse, vorrei saltare giù da questo maledetto letto e abbracciarla.
“Stai tranquilla, tutto passerà”, le dico con le lacrime agli occhi, ed un senso di colpa che non potete immaginare.
L’invidia, questo stupido sentimento corrosivo. Antitesi della bontà. Male incurabile.