Violenza sessuale sui minori: quando il pavimento pelvico nasconde un dolore mortale

Sede di arcaici istinti primordiali,
infinite passioni,
o perverse trasgressioni,
il pavimento pelvico
nasconde le insidie del nostro animo più intimo
o un dolore celato,
a volte,
mortale


1a parte

Non sento le gambe, e nemmeno il braccio destro, mi manca l’aria, aiuto. Soffoco. Non respiro. Dalla mia bocca non esce il suono delle mie parole, ma….mma, che succede!?. Ho paura. Ho una tremenda e folle paura.
In un bagno di sudore, scopro le lenzuola con la sola forza del braccio sinistro e mi catapulto giù dal letto. Il tonfo, sul pavimento di parquet di legno, rimbomba e sveglia Maria, nella stanza accanto. Nel buio oscuro, annaspo con le mani alla ricerca dell’interruttore della luce, intontito. Sono vivo. Lui non c’è. Non c’è! . Non sono a casa mia. Ah, ecco, sono dai signori Larsino, meno male.
“Giulio che succede? Giulio!?”. Maria entra nella mia stanza con l’espressione terrorizzata che io stesso credo di aver stampato in viso. Anche se visibilmente preoccupata, con la sua sottile presenza, mi trasmette una indescrivibile tranquillità. Mi aiuta a rialzarmi. Mi vedo un vecchio di novantanni. Ora le gambe le sento, calde, con un formicolio diffuso e dolorante.
“Devi aver avuto un bruttissimo incubo, vero Giulio?”. La abbraccio senza proferire parola. In questo vasto spazio solo il pavimento geme ancora e scricchiola sotto ai nostri piedi. Lei sa splendidamente di buono, ma la puzza di stantio e di muffa in questa mansarda è ancora più insopportabile quando fa così caldo.
E’ l’ennesima nottata irrequieta. Da cinque mesi non so come liberarmi dai fantasmi di un passato non ancora remoto.
“Stai bene Giulio?”, mi chiede sottovoce, con tono soavemente dolce, accarezzandomi la testa bagnata.
“Certo, si, certo Maria, grazie, ora va meglio”.
Quanto vorrei che rimanesse seduta accanto a me, ancora un po’, sul mio letto così vuoto e troppo grande per una persona sola. Poi, si alza con la leggiadria di una farfalla, in silenzio si avvia verso la sua stanza. La piccola sveglia digitale, richiama la mia attenzione. Giro la testa verso il comodino, sono le tre, la notte è ancora lunghissima. La luce fioca della piccola lampadina da libro, ancora accesa, è la mia unica compagnia in queste notti di prima estate, insieme al libro di Dan Brown.
Il grande lenzuolo ingrigito, bagnato di sudore, si attacca alla mia pelle appiccicosa e provo un fastidio irritante. La federa del cuscino, tappezzata di chiazze di saliva, vola quasi fuori dalla finestra semiaperta, a metà tra il muretto e il davanzale. La maglietta nera è fradicia, perfino lo slip da grigio chiaro è diventato grigio scuro per il sudore. Vorrei tanto fare una doccia ma sveglierei Antonio di sicuro, e poi si che sono guai. Da quando ha cambiato lavoro, è così irascibile che anche Maria si lamenta sempre. Se lo trovassi anch’io un lavoro alla Sestem, come operaio, certo, non in ufficio come Antonio Larsino, potrei essere, senza dubbio, il ragazzo più felice della terra, altro che lamentele antoniane!. Ma ormai le sue sono indecifrabili parafrasi del pessimismo cosmico, non c’è rimedio al suo lamento petulante. Meglio spegnere la lucetta, vediamo se riesco a non pensare.
Vivo in questa grande casa da cinque mesi e mezzo, un’eternità, e per quanto tempo ancora?. Agosto, settembre, ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio. Conto sulle dita i mesi che mancano al mio diciottesimo compleanno. Sette. Duecentoventuno giorni, poi forse sarò libero? Chi lo sa. Qui, Antonio e Maria Larsino mi trattano bene ma non riuscirò mai a sentirmi a casa mia, ed ora, che la scuola è finita, il vuoto che provo è immenso più che mai.
Mi manca tremendamente mia madre. Mi manca Melissa, mia sorella. Nonostante il male che mi ha fatto, per aver lasciato che gli assistenti sociali mi portassero via da lei, mia madre resta sempre mia madre e chissà quanto starà soffrendo anche lei adesso,senza di me, chissà se gli manco.
Maria, qui, non assomiglia neanche lontanamente a mia madre e Antonio, suo marito, è l’antitesi esatta del mio padre ideale. Maria è una superdonna, una cuoca che lavora dieci ore al giorno. La sua materna abbondanza, stimola in me un certo squilibrio ormonale e una desiderosa smania di crescere in fretta. A livello intellettuale credo sia nettamente superiore alla media, ma soprattutto ad Antonio, i cui tatuaggi declamatori, pregiudicano anche il suo quoziente di intelligenza. Non so cosa possa avere fatto innamorare Maria di lui. Lei, con il suo fisico statuario, ipertonico nonostante gli anni che ci dividono, gli occhi da gatto e dei bellissimi capelli rossi, è la donna dei miei sogni, peccato abbia il doppio dei miei anni e che io sia omosessuale. Anche Mauro,il mio ex, veramente ha il doppio dei miei anni. La nostra, e’ stata una storia d'amore troppo travagliata. La sua crisi d’identità, cinque anni fa, lo ha portato in clinica psichiatrica. Oggi lui si chiama Laura ed io, non mi riconosco più.
Antonio Larsino non mi piace affatto e si capisce. Credo che a pelle, lo abbia percepito anche lui.

Ho sete. Scendo delicatamente dal letto, silenziosamente, e a tastoni, senza accendere la luce, cerco il piccolo corridoio che porta alla scala. Spero che il pavimento non mi tradisca. Accidenti, penso tra me e me, le grandi assi trasversali scricchiolano sotto ai miei piedi. Mi mordo le guance per mantenere la bocca chiusa. Speriamo che Antonio dorma. Ecco, la lucetta della piccola abat jour in salotto mi apre il percorso. Come se cercassi l’acqua nel deserto, mi fiondo sul frigo. L’odore di erbette cotte da Maria ieri sera, è ancora presente nell’aria caldissima e umida. Anche la porta del frigo cigola a tradimento, e mentre allungo il braccio per afferrare la bottiglia gelata, sento dei passi dietro di me. Mi giro di scatto, vedo un’ombra avvicinarsi piano. Maria? Chiedo sottovoce. No, è lui, Antonio. L’ansia mi assale. Ho paura di lui, della sua voce profonda dal tono sempre serioso, arrabbiato. Prima ancora del suo volto corrucciato, noto il suo orribile torace peloso. E’ a petto nudo, in boxer extralarge e infradito. Le mie infradito! Dove le avrà trovate caspita! Ed io che sono a piedi scalzi perché non ho visto le mie ciabatte!. Viene verso di me. Adesso mi farà la solita romanzina per il mio consueto baccano notturno. Lo anticipo. “Scusa Antonio, ma non riesco a dormire bene ultimamente. Spero di non averti svegliato, io… non so come scusarmi”, incalzo non senza timore la mia frase sillabata.
“Forse faresti meglio a prenderla la tua pastigli--etta azzurra”, mi dice con determinata chiarezza e sottolineando le doppie nella parola pastiglietta.
“E’ un blando sonnifero, dai Giulio caspita!, Almeno riuscirò a dormire una notte intera!”, aggiunge senza lasciarmi la possibilità di replicare.
Mi sento sprofondare sul pavimento piastrellato. In colpa. Per il mio passato, che non mi fa dormire e che lui conosce benissimo. Ti odio Antonio, quanto ti odio.
“Si, … hai ragione, domani la prenderò” gli rispondo mogio, con voce tremante.
Mai come in quel momento, mi sentivo un perfetto estraneo, in quella fredda casa isolata, alla periferia di Treviso lontano dalla mia Padova.
Antonio si avvicina al frigo, apre nervosamente la porta. Io abbasso lo sguardo. Noto per la prima volta uno strano tatuaggio sul dorso del suo piede, una M in corsivo, nera. M come maledetto il giorno che ti ho incontrato.
“Dov’è la mia coca cola?, L’hai presa tu?”, bofonchia.
Sto ancora sorseggiando l’acqua nel mio bicchiere di plastica e lo guardo stupito. Con incredula espressione, sbarro gli occhi, gli porgo il mio bicchiere mezzo vuoto d’acqua.
“Certo che no, Antonio. Buonanotte, io torno su”.
Non ho mai capito perché sono qui, proprio con loro. Non hanno figli e forse per questo l’assistente sociale mi ha affidato ai coniugi Larsino. Ci dovrò stare per forza, almeno fino al processo di mia madre, o fino ai miei diciotto anni. Melissa invece è stata affidata all’istituto protetto per minori disagiati, insieme ad altre ragazze credo. Mia sorella ha tre anni di meno ed è incantevole, come Maria. Capelli rossi e boccoli. Non avrei mai pensato che ci avrebbero diviso. Lei ha sempre avuto una adorazione per me, da quando nostro padre se ne è andato. Aveva solo quattro anni, piccolina e minuta si aggrappava a me, fratello maggiore, ogni volta che si usciva con mamma e amici. Sembrava una scimmietta, la chiamavo Cita molto spesso, e lei rideva rumorosamente. Mi scendono le lacrime mentre penso a dove o con chi possa essere adesso. Chissà se sta bene, se dorme o se si sveglia tutte le notti come me. Chissà se fa ancora la pipì a letto. Ci hanno impedito di usare il cellulare o il computer per sentirci o scriverci, e ci hanno anche impedito di vederci. Fino al processo, che non sappiamo nemmeno quando sarà. Ci sono ancora indagini in corso su mia madre e qui mi sento praticamente in prigione.
Accendo la mia lucetta da libro. Mi siedo sul letto, la testa, tra le mani che sembrano sostenere i pensieri atroci che vagano in cerca di perché, mi appare pesantissima. Il vecchio specchio impolverato di fronte a me, incornicia perfettamente la mia gioventù bruciata. No, quello non sono io. Giulio, digli che non sei tu.
Approfitto per fare la doccia visto che Antonio è sveglio. Ci metterò pochi minuti e forse l’acqua calda concilierà il sonno, come mi dice sempre Maria. Meglio se prendo anche un lenzuolo pulito, qui nel mio piccolo armadio. Accidenti, sto facendo un gran casino, mi odieranno.
Il bagno cieco è nella mia camera da letto e le pareti sono piene di muffa. Anche l’accappatoio, che non si asciuga mai, sa di acqua stagnante. Me lo ha regalato Mauro. Il mio primo e unico amore transessuale.
Il potere rigenerante di una doccia calda è strepitoso. L’aria malsana, è ora ricoperta da un delicatissimo profumo di bagnoschiuma al talco, che usava mia madre per il bagnetto da bambini.
Torno in camera.
Non credo ai miei occhi.
Il letto è perfettamente ordinato, le lenzuola sono pulite, stirate, come nuove.
Maria?. Forse ha sentito che ero in doccia ed ha pensato di cambiarle. E’ di una gentilezza squisita. Domani devo ricordarmi di ringraziarla, ho paura di trovare Antonio se vado adesso di là.
Transito a petto nudo dal bagno al mio letto e mi infilo sotto al lenzuolo azzurrino. La federa del cuscino sa di pulito, di ammorbidente, e adagio volentieri il mio capo. Butto lo sguardo sull’orologio, sono quasi le quattro e il sonno sembra un lontano miraggio, poi improvvisamente riaffiorano i mostri del passato.


2a parte: Flashback, I mostri del passato: cinque anni prima

Sto terminando i compiti di matematica sul grande tavolo in cucina. Domani verifica, devo prepararmi bene. Mia sorella Melissa è in cameretta con una amica e gioca con le Barbie, le sue bambole preferite. Mia madre non mi ha mai aiutato con i compiti perché me la sono sempre cavata da solo. Adesso che sono alle medie, e che i compiti sono triplicati, le ore che trascorro sui libri mi impegnano tutto il pomeriggio. Meglio se ho la testa impegnata, così non sento la mancanza di mamma che lavora agli uffici tutti i giorni dalle tre alle otto. Avrei preferito che lavorasse al mattino, averla accanto a me, qui in cucina, a “spignattare” per la cena, sarebbe stato un sogno. Ma mi sa che anche stasera dovremo mangiare scatolette.
Sandro sta per tornare. Lavora alla Sestem, disegna costumi da bagno, ma turni strani, boh. Sta con mamma da quando avevo sette anni, subito dopo la scomparsa di papà. Ha una strana simpatia per Melissa, o forse è un mio pensiero, ma a lei dà subito un bacio appena entra in casa, e a me, mai, o a malapena un ciao. Un giorno gli sono saltato al collo, amorevolmente, con un affetto mai provato prima d’ora, e lui, mi ha scaraventato a terra insultandomi con un “Hey, che sei, frocio?”. L’ho disprezzato per settimane, finchè si vedeva l’ematoma sul ginocchio, poi me la sono fatta passare.
Eccolo.
Vedo la luce del portone lampeggiare.
Sento il rombo del motore.
Peccato che si sia comperato un’auto coupè, non riusciamo mai ad andare via tutti insieme.
“Ciao Giulio, la mamma è tornata?, Melissa dov’è?” , ecco come immaginavo, a me non chiede nulla.
“Mamma è ancora a lavoro non sai che torna alle otto?, Melissa in camera con Erica”.
Si avvia lungo lo stretto corridoio che separa il reparto giorno dal reparto notte. Lo specchio barocco sul caminetto, riflette la sua ombra camminare, che seguo.
“Ciao passerotto, dai un bacino a Sandrino. Sulla bocca Meli. Ah, Ciao Erica, ci sei anche tu?”. Sento che Sandro chiude la porta della cameretta a chiave e dice alle bambine di stare tranquille e giocare. Poi viene in cucina e si siede vicino a me. E’ incredibilmente paterno, mi chiede cosa sto facendo e si interessa dei miei conteggi.
“Cerca di non usare troppo la calcolatrice mi raccomando”, incalza con un occhiolino simpatico.
Mi piace questo Sandro.
“E… come va con le ragazze eh?”, mi chiede incuriosito. “Abbiamo già avuto qualche esperierenza eh Giulio? Hai già…”, aggiunge senza pudore mentre apre il frigo per prendere una lattina di birra. Nell’imbarazzo più totale e nell’inaspettato discorso mi perdo in un rossore indescrivibile. Che bello il suo interesse. Per la prima volta mi sembra che Sandro faccia il padre. Come ho sempre desiderato. Con difficoltà cerco di aprire il mio cuore e gli racconto di Lara, la mia compagna di banco.
“Le ho solo dato un bacio”, gli confido. “Lei è già donna ed io mi vergogno molto, secondo me vorrebbe che ci mettessimo insieme e poi qualcosa di più che un bacio, ma io non ho coraggio, mi sento inferiore”, gli confesso.
Sandro mi volge improvvisamente uno sguardo severo, quasi inquisitore. Ora è seduto accanto a me. Puzza di fumo di sigaretta. Il suo viso è vicino al mio, come se stesse per dirmi qualcosa all’orecchio. Il suo sorriso sardonico, non mi piace.
“Sssst…” , mi sussurra piano tenendo il suo dito indice sulle mie labbra. Poi, la sua mano finisce sulla mia coscia e successivamente là, sui miei genitali, sopra ai jeans.
“Sentiamo” dice . “Sentiamo se sei uomo”. La mia mano frena le sue dita curiose un attimo dopo che arrivassero al bottone dei jeans.
“Devi dire a Lara di fare così, Giulio, lentamente, in questo modo, ecco così”.
Mi prende la mano destra con la sua sinistra mentre scosta lo slip ormai rimpicciolito dai ripetuti lavaggi, e fa in modo che sia io a guidarlo in questa manovra scabrosa.
“Va bene, Sandro, basta ho capito, ho capito, basta, lasciami studiare adesso”. La mia voce trema di paura.
“Tranquillo, Giulio, ti insegnerò a diventare un uomo, non preoccuparti. Queste sono cose da uomini”.
Sono senza saliva e le guance infuocate nascondono, in realtà, il pallore in cui credo di trovarmi, per la nausea che provo. Sandro si alza di scatto, sistema la sedia sotto al tavolo e, in piedi, si slaccia la cintura pitonata dei pantaloni, aprendo bottone dopo bottone davanti ai miei occhi. Lo guardo stupito, poi, le mie pupille si abbassano, fissando nel vuoto il pavimento lercio.
“Guarda Giulio, cose da uomini, non avere paura, sei un uomo o no?”. Mi mostra il suo “coso”, andando fiero della sua misura che riprende con la mia squadra di geometria sul tavolo.
“Vedi?, diventerai cosi, forse”, aggiunge inscenando mezzo sorriso forzato.
Poi, con qualche manovra rapida che non capisco subito, mi mostra una sorta di massaggio, su e giù, ne dà spettacolo e la mia mente vaga nel ricordo dei racconti dei ragazzi di terza, durante l’ora di educazione fisica.
La nausea sale, ho un terribile mal di pancia, i conati sopraggiungono a catena. Non riesco a trattenere il vomito, e improvvisamente un getto innonda il pavimento già sudicio, arrestando l’orribile spettacolo a cui Sandro mi obbligava ad assistere.
“Ma sei stupido?”, mi offende senza ritegno, con volgari e meschini espressioni di disgusto per il mio malessere.
“Ora pulisci, cretino”, incalza.
E con i pantaloni ancora aperti se ne va in bagno mentre dalla cameretta Melissa batte a colpi la porta per uscire.
Non trovo la carta assorbente, solo il cartone cilindrico del rotolo vuoto, giace sul bancone della cucina. La cartaigienica è in bagno, oddio no, non voglio andare. Cerco un canovaccio, la mamma si arrabbierà un sacco. L’odore acre è insopportabile e accompagna i miei ripetuti conati successivi. Io non ce la faccio. Piango. Trovo tre piccoli asciugamani da cucina, nascosti dietro e incastrati al cassetto delle tovaglie, ecco perché non si chiude bene questo cassetto. Li stendo sul pavimento, la mamma poi li laverà. Non vedo l’ora di raccontarle tutto. Devo stare anche attento a Melissa e ad Erica, che rischiano di calpestare il mio disastro. Il libro di matematica, aperto sugli esercizi, è pieno di schizzi di nauseante vomito, che nascondono ora, il profumo di pagine patinate da me adorato.
Sandro torna in cucina come se niente fosse.
Non mi degna di uno sguardo ed io non so cosa fare né cosa dire. Non riesco più a studiare, impilo i miei libri uno sull’altro, l’astuccio, il diario e le penne ordinatamente sopra. Lascio la squadra sul tavolo e mi rinchiudo in camera ad aspettare la mamma.
Sono le otto e mezza, la mamma ancora non arriva. Melissa continua a dirmi di avere fame. Sandro è di là, sento la televisione accesa, la partita sta per iniziare e guai a chi parla. Mando un messaggio alla mamma, anche se lei odia essere disturbata quando è a lavoro, ma il cellulare me l’ha regalato lei, dice, per ogni necessità, e secondo me, questa, è una necessità. Anzi la chiamo.
Segreteria telefonica, noo. Lascio un messaggio vocale. “Mamma…, sono Giulio, dove sei”. Solitamente alle otto e mezza entri in casa. Sono le otto e trentuno adesso. Mamma dove sei, ti prego torna.
Melissa vola di là con Sandro, si siede in braccio come fa di solito, anche se ha quasi nove anni, sembra una bambina di quattro. Me la ricordo tale e quale con papà, prima che ci lasciasse per andare a vivere a Milano con quell’altra donna.
Melissa ha sempre avuto i capelli lunghi, con i boccoli. Papà infilava le dita sui suoi boccoli rosso ramato e le accarezzava il viso dolcemente, solleticandole i lobi degli orecchi. A me invece, toccava la coppa, rasata. Ho sempre avuto i capelli a spazzola, per comodità, e per assomigliare a papà. Quando si guardava insieme il telegiornale, sul divano, le nostre teste erano vicine, piegate, in simbiosi, un tutt’uno. Che bello che era. Mamma era perfino gelosa, e litigava con papà perché dava più attenzioni a noi che a lei.
Spio dalla porta semi aperta che dà sul salotto, Sandro e Melissa insieme. Non possono vedermi. Stanno mangiando patatine da un sacchetto scaduto, trovato nella vuota dispensa. L’ho notato prima, mentre cercavo gli stracci. Spero che mamma arrivi in fretta.


Il 50% delle persone che ha subito abusi sessuali anche solo verbali, mostra serie disfunzioni del pavimento pelvico con problematiche relative a ritenzione di urina, di feci, incapacità ad avere un orgasmo, incontinenza, impotenza, dolore pelvico cronico...


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