IL PASSATO E' COME UN CARDIGAN TROPPO STRETTO

Gli metto una mano sulla spalla e la faccio scorrere di lui, come se avesse freddo e volessi riscaldarlo. Gli dico che si sistemerà tutto, che la chemioterapia resterà solo un brutto ricordo, che lo accompagnerò in ospedale tutti i giorni perchè dovrà guarire, senza se e senza ma. Questa non è una guerra facile.
Cerco di raccogliere le macerie di un matrimonio fallito per non lasciare ingombri in questa strada impervia e dimentico il nostro ultimo litigio, le parole come lame, i toni acuti. Dimentico gli ultimi anni e mi faccio forza sugli altri dieci. Sento che devo starti accanto. Non è possibile spegnere un sentimento, chiuderlo in un barattolo e buttarlo via, mi dico.
Lui sprofonda nel colletto della polo blu. Sembra ancora piu pallido e insicuro. 
"Vattene", mi dice.
Lascio che quella parola rimanga sospesa tra noi, come se tagliasse l'aria fredda, attraversandola come una lama di ghiaccio. Lascio che la parola mi avvolga e trovi una scusa in questa situazione. Cerco di comprenderlo.
Prima che io possa rendermi conto di cosa sta succedendo in questo momento, lui porta una mano sotto il mio mento e mi fa sollevare il viso. Sono come paralizzata. Mi fissa dritto negli occhi. Due occhi profondi e persi. Sono gli occhi della paura, del terrore, di quel qualcosa che si è impossessato di lui. Del maledetto cancro. 
"Vattene", mi ripete.
Non ho il coraggio di dire nulla. Vorrei solo abbracciarlo, dirgli che lo amo immensamente, che insieme combatteremo il male. Vorrei ricordargli la notti trascorse a guardarci attraverso quegli stessi occhi pieni d'amore, mentre le dita sfioravano la pelle e le labbra non si staccavano nemmeno per respirare. Vorrei poter tornare indietro, per cancellare quella frase. Quando una donna dice di non essere più sicura dell'uomo che un tempo ha amato, è già sulla strada che la porterà via, prima o dopo.  Ed io lo ero. Quel tuo essere possessivo, è stato sempre per me insopportabile. Insacchettato in un passato che non dimentico e che vorrei sfilare e buttare, come un cardigan troppo stretto, impanato da un lavaggio sbagliato, che non entra più nemmeno per un braccio.
"Ti ho detto di andartene", mi ripete per la terza volta. La voce è flebile, un lieve sussurro.
Poi, mentre cerco di rompere quella geometria perfetta tra i nostri spazi, dopo un passo indietro lungo un niente, mentre lo sgabello graffia sul parquet, lui mi tira a sè di nuovo.
Ed è un abbraccio perfetto, come le se sue braccia combaciassero con le mie e le nostre spalle si incastrassero. E' un abbraccio lunghissimo, con le lacrime incessanti che scendono come un fiume in piena. E' paura.
"No, non me ne andrò amore mio", gli dico con la voce rotta dal pianto. "Ricominciamo dal principio. Combattiamo insieme".
Sento i suoi singhiozzi e subito capisco che è un momento, un istante della mia vita, che non dimenticherò mai più. Il secondo esatto della mia vita in cui la mia esistenza si divide in due metà. Un prima e un dopo. Sento che mi cedono le gambe, sento che lui mi sorregge. A coprire il suo pianto c'è solo un rumore liquido, un gorgoglio nella mia testa. Credo che il mio cervello si stia sciogliendo.
Si è lasciato fare, accompagnare, sostenere, prendere per mano, amare.

Oggi, siamo al quarto ciclo di chemioterapia. Le metastasi si sono notevolmente ridotte e il nostro amore è potente. Più potente di quella stupida bestia invadente e opportunista. 

La mia paziente mi ha raccontato la sua storia dopo aver imparato i principi dello storytelling. La dovizia di particolari emotivi mi ha consentito di scriverla. Io mi sono emozionata non solo leggendola, ma scrivendola. La medicina narrativa è una cura per l'anima anche del terapista.
Fanni Guidolin

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