LASCIATI ODIARE

Grazie Francesca, per aver consentito che raccontassi la tua storia.

Si accorgeva dello smalto rosicchiato sulle dita dei piedi e di quel capello bianco che illuminava la chioma sulla tempia. Del boccolo attorcigliato con la piastra o del nuovo mascara per ciglia impasticciate. Nulla sfuggiva al suo controllo. 
Esaltava una palpebra sfumata di azzurro, passandomi il pollice sul sopracciglio come se facesse una carezza a forma d'arco ma odiava tutti fard, ciprie, e rossetti. Si chiedeva come facessero gli uomini  a baciare una bocca appiccicosa e colorata.
Se mettevo la crema sulle mani mi faceva notare la morbidezza delle nocche, purchè non fosse eccessiva, altrimenti si infastidiva per tutto quell'unto. 
Lui era un esteta, narciso e insolente. Eppure mi sono innamorata di lui. Aveva fatto tornare l'ossigeno nell'aria che respiravo; aveva svestito il mio passato buio e rivestito di colore e fantasia il mio corpo, cucito tutti gli strappi che la mia precedente storia aveva creato. Ma era un fastidioso re della pignoleria e della frivolezza, dei cavilli e delle minuzie di poca importanza.
Perfino le maglie di lana lo irritavano. Diceva che pizzicavano sulla pelle calda. Le toglievo rabbiosa, facendole pungere sulle sue braccia, per dispetto. Così, incavolato, lanciava il mio maglione lontano e mi scaraventava sul letto, o sul tavolo, o sul divano rotto, quello senza tre molle, che ti faceva sprofondare se cadevi nel punto sbagliato. 
Gli piacevano i capelli biondi, ma io ero castana all'epoca. Dopo la sua malattia mi sono schiarita i capelli. Li ho voluti di un biondo finto, per piacergli di più, quando non notava più i particolari. 
Per lui usavo le creme antirughe. Sosteneva che la natura non era stata molto regale con me. Tutte quelle rughe poteva risparmiarsele per qualche altra. Ma io soffrivo in silenzio e lo compiacevo, zitta, con la dignità dilaniata di tutte le donne che, come me, vivono in questa trappola.
All'ultimo Natale, mentre si sottoponeva alla sesta seduta di chemioterapia, mi fissava sghembo, appallottolato nel letto come uno straccio. Il mio pantalone era troppo largo a suo avviso, e la tasca abbassava i glutei rendendoli flaccidi e cadenti. Si, proprio lui azzardava un tale commento, lui, che non si reggeva nemmeno più in piedi e di chili ne aveva persi diciotto. Quel "lui" aveva ancora il coraggio di una critica. Lui, che aveva solo ossa ricoperte di pelle rugosa e molle; che indossava solo un viso bianco color cera e due occhi infossati su pesanti occhiaie annerite. 
"Hai gli occhi gonfi", mi disse col fiato corto una sera dopo che avevo pianto per ore. Non mi chiese perchè avevo pianto. 
E non glielo confessai mai che in cuor mio speravo finisse tutto al più presto. Ormai la sua malattia si era presa tutto di lui e molto anche di me. Pregavo che morisse in fretta, che scomparisse dalla mia vita, che la vita mi aiutasse così, finalmente, ad odiarlo.


Francesca è giunta da me con dolore pelvico cronico, disturbi della defecazione e incontinenza urinaria da urgenza. Ha somatizzato tutto il suo rapporto di coppia sul suo pavimento pelvico. 
Ha avuto il coraggio di ripensare alla sua dignità perduta solo quando suo marito è mancato. E si è sentita libera. Felice. Ma da quel giorno sono iniziati i problemi perineali. 

Si ricorda che il 50% delle donne con dolore pelvico cronico ha subito una qualche violenza fisica, verbale, sessuale, psicologica, dal proprio partner. 

FANNI GUIDOLIN
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